sabato 22 febbraio 2020
La maggior parte dei candidati riformisti erano stati "squalificati" dalla corsa elettorale e la gente non è andata alle urne, nonostante gli appelli dell’ayatollah Ali Khamenei
Un giovane ebrea iraniana al voto nella capitale Tehran

Un giovane ebrea iraniana al voto nella capitale Tehran - Ansa

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Scommessa perduta per il Consiglio dei Guardiani che puntava al superamento della soglia del 50% alle elezioni del Parlamento iraniano che si sono svolte venerdì. Le stime, non ancora ufficiali, danno un tasso di affluenza del 41,5% a livello nazionale e il 20% nella capitale Teheran, contro il 62 e il 50% rispettivamente alle precedenti consultazioni del 2016. E questo nonostante le cinque proroghe consecutive che hanno portato l’ora di chiusura dei seggi dalle 18 sino a mezzanotte.

Questi dati disattendono soprattutto gli accorati appelli della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che ha cercato di fare leva sull’orgoglio nazionale ribadendo in più occasioni che la partecipazione al voto rappresenta un atto di fedeltà «alla rivoluzione, al sistema islamico e all’Iran», oltre che «un dovere religioso». I primi risultati sembrano confermare il controllo del Majlis (il Parlamento) da parte dei gruppi conservatori, secondo quanto riferisce la tv di Stato.

A Teheran, le liste dei fondamentalisti si aggiudicherebbero tutti i 30 seggi in palio, prima in mano ai riformisti, su un totale nazionale di 290. Secondo l’agenzia nazionale Irna, in testa nello spoglio nella capitale è l’ex sindaco della capitale ed ex capo delle forze aeree dei pasdaran, Mohammad Baqer Qalibaf, capolista di una coalizione sotto cui si sono riunite gran parte delle forze conservatrici. Molti indicano il vincitore come possibile candidato alle elezioni presidenziali del prossimo anno per succedere a Hassan Rohani. Subito dopo, segue Agha-Tehrani, un religioso sciita del gruppo ultra conservatore Paydari, in polemica con Qalibaf. In alcune circoscrizioni è già previsto un ballottaggio, fissato dal ministero dell’Interno al 17 aprile.

La vittoria dei conservatori era scontata dal momento che il Consiglio dei Guardiani, l’organo dominato dai conservatori che vaglia le candidature alle elezioni, aveva squalificato circa 7.300 nomi, in stragrande maggioranza riformisti, tanto che per 160 dei 290 seggi a disposizione ci sono stati solo candidati conservatori in lizza.

A incentivare la disaffezione della maggioranza degli iraniani verso la politica, la difficile situazione che attraversa oggi la Repubblica islamica, una delle peggiori dalla rivoluzione del 1979. L’isolamento economico dovuto alle rinnovate sanzioni americane, l’inflazione, la svalutazione della moneta nazionale, la disoccupazione, la mancanza di medicinali, sono solo alcuni dei problemi quotidiani degli iraniani.

Molti non vedono più differenza tra i due grandi schieramenti – riformatore e conservatore – della politica iraniana. Come se non bastasse, ha inciso sul voto anche il fattore coronavirus. Ieri, una consigliera comunale, Nahid Khodakaraomi, che è medico, ha detto che le sedute del Consiglio sono sospese per una settimana. Secondo l’agenzia Fars, il sindaco del distretto 13 sarebbe risultato positivo ai primi test per il coronavirus. Alcuni dei consiglieri avevano avuto un incontro di lavoro con lui martedì.






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