Quando una società è giusta? Quattro idee di libertà (e dei suoi limiti)
Il modo in cui concepiamo la libertà incide su di noi e sulla collettività. Quanto siamo disposti a concedere? I casi della pandemia e della transizione ecologica
Dietro le tragedie che si stanno consumando oggi nel mondo ci sono radici più profonde dei capricci di alcuni potenti. Il modo in cui concepiamo la libertà, anche se non tutti ne sono consapevoli, incide in maniera decisiva sulla nostra soddisfazione di vita nonché sul benessere (o sul malessere) della collettività.
La questione viene sistematicamente alla ribalta in tutte quelle circostanze nelle quali si chiede un sacrificio alla libertà personale in nome di un interesse comune. I due casi più evidenti recenti sono stati quelli della pandemia e della transizione ecologica.
Nel primo caso il bene superiore della prevenzione dei contagi e del superamento della fase della pandemia ha posto vincoli rilevanti alla libertà personale (l’uso delle mascherine, l’obbligo dei vaccini, i limiti alla mobilità personale) e non a caso questo ha scatenato molte polemiche e la ribellione soprattutto di quanti hanno affermato di non voler accettare limiti imposti dall’esterno. Con la transizione ecologica sta accadendo qualcosa di analogo, perché alcuni dei comportamenti fortemente consigliati se non obbligati per ridurre le emissioni sono vissuti da una parte rilevante dei cittadini come limiti inaccettabili alla libertà individuale. Ovviamente i contrari alle limitazioni hanno avanzato molti argomenti ragionati sull’inutilità di tali divieti ma, andando alla radice di questo atteggiamento, non possiamo non trovare un filone di individualismo libertario radicale che li anima. Si tratta di un modo di ragionare paradossale che non si rende conto che la convivenza sociale è possibile, anzi fruttuosa, solo grazie a mille invisibili limitazioni della nostra libertà (dai semafori stradali alle tasse).
In un lavoro empirico su un campione rappresentativo di più di 5.000 italiani abbiamo messo in scala le diverse concezioni di libertà lungo un continuum i cui due estremi sono l’assolutizzazione della libertà individuale senza vincoli di presunte limitazioni a vantaggio della collettività e la totale subordinazione della libertà individuale agli interessi collettivi. Più in dettaglio, abbiamo chiesto di scegliere tra quattro diverse definizioni di libertà. Secondo la prima “una società è giusta se la libertà individuale è sempre garantita, anche se va contro l’interesse generale”. Per la seconda “una società è giusta se la libertà individuale è garantita, ammesso che non entri in conflitto con l’interesse generale”. Per la terza “una società è giusta se la libertà individuale è intenzionalmente diretta verso il raggiungimento dell’interesse generale”. Per la quarta “una società è giusta se la libertà individuale è subordinata all’interesse generale”. Abbiamo definito “libertario radicale” chi ha scelto la prima definizione, “libertario moderato” chi ha scelto la seconda, “consapevolmente civico” chi ha scelto la terza e “comunitario” chi ha scelto la quarta. Ebbene: poco più della maggioranza del campione (circa il 52%) rientra nel gruppo dei radicali libertari, avendo scelto la prima definizione. I “consapevolmente civici” seguono a distanza con il 19,6%, gli “libertari moderati” sono il 15% e i “comunitari” circa il 12%. Colpisce la correlazione con il livello d’istruzione: i laureati sono il 19,8% tra i consapevolmente civici e solo il 5,8 tra i libertari o i libertari temperati. Come quasi implicitamente dichiarato nelle definizioni di libertà scelte, libertari radicali e libertari moderati (che totalizzano assieme il 67% delle risposte) sono molto meno impegnati civilmente e presentano livelli significativamente più bassi di “intelligenza relazionale”, con dati relativamente peggiori in termini di empatia, generosità, capacità di ascolto. Nella valutazione finale della ricerca sull’effetto delle quattro diverse visioni di libertà sulla soddisfazione di vita, troviamo che, in termini di soddisfazione di vita, i libertari radicali e moderati hanno una probabilità di circa il 10% inferiore di dichiararsi molto felici rispetto ai consapevolmente civici e ai comunitari.
Accettare limiti alla propria libertà e investire nelle relazioni con i nostri simili è sicuramente faticoso, e la prima reazione può essere quella di non farlo. Quando parliamo di libertà nella cultura contemporanea abbiamo essenzialmente in mente la “libertà (individuale) di”, che consideriamo qualcosa di sacro ed inviolabile. La “libertà per” – ovvero la nostra decisione ragionata e consapevole di accettare limiti e investire nei rapporti interpersonali – ci rende invece molto più “potenti”, essendo infatti esseri strutturalmente relazionali. Il paradosso è che la maggioranza sceglie qualcosa che inevitabilmente spinge al conflitto e rende meno felici. C’è dunque anzitutto un problema culturale e di formazione - far comprendere che i limiti per interesse generale sono fondamentali per la sopravvivenza della società - e in secondo luogo di felicità pubblica, individuale ed aggregata. I risultati della ricerca aiutano dunque a interpretare l’epoca difficile che stiamo vivendo, dove conflitti e radicalismi libertari mettono a rischio pace e democrazia. Abbiamo urgente bisogno di cultura, scuola e testimonianza d’intelligenza relazionale. È questo il motivo per il quale i concetti di intelligenza relazionale e partecipazione, sviluppati in aspetti problematici e soluzioni sulle diverse dimensioni della crisi, saranno il centro del prossimo Festival nazionale dell’economia civile, il 2-5 ottobre a Firenze.
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