In quelle tante piccole marce, una grande speranza
di Anna Granata
Alle cittadine e ai cittadini che manifestano va riconosciuto il merito di tenere accesa la fiammella dell’umanità e della compassione, dentro l’oscura estate di violenze e atrocità

Siamo il Paese delle spiagge sfruttate fino all’ultimo millimetro per capitalizzare il turismo, dei sentieri montani immersi nella natura ed estraniati dal mondo, delle piazze storiche delle grandi città, surriscaldate e attraversate da visitatori temerari. L’Italia si presenta così anche in questa estate di enorme incertezza e instabilità globale, con terribili guerre che si consumano a poche ore di aereo da casa nostra.
Eppure, proprio in quei luoghi consacrati allo svago, al divertimento e al riposo, si moltiplicano iniziative spontanee di solidarietà al popolo palestinese. Un movimento di uomini e donne che supera età e appartenenze politiche, coordinato attraverso i social ma vissuto fisicamente nei luoghi quotidiani di vita di chi li promuove. Un fenomeno da osservare con attenzione, non tanto per i numeri che lo contraddistinguono, quanto per le dinamiche inedite di partecipazione che riesce a generare. Una spiaggia di Levanto, nei pressi delle Cinque terre, si trasforma di sera in spazio di gioco e accoglienza per i bambini di Gaza giunti all’ospedale Meyer di Firenze attraverso corridoi sanitari. Hanno grandi cicatrici, sono accompagnati da poche mamme sopravvissute e corrono per la spiaggia esprimendo il naturale desiderio infantile di muoversi e giocare dopo un periodo di ospedalizzazione. I turisti rimasti in spiaggia si fanno coinvolgere nei balli di gruppo organizzati da un’associazione giovanile locale, stringendo quasi increduli quelle piccole mani. Il cammino di Oropa a Biella, attraversato da pellegrini ed escursionisti, è diventato sede tra il 10 e il 14 luglio scorsi della Local March for Gaza, una marcia civile laica per il diritto alla vita e alla pace del popolo palestinese.
Ispirata alla più nota Global March to Gaza, è un’iniziativa spontanea dal basso che invita gli abitanti del luogo e i turisti a marciare insieme e sottoscrivere una petizione da consegnare alla prefettura di Milano. Un ambiente che naturalmente invita a estraniarsi dalle sofferenze del mondo, si trasforma in spazio di impegno e sensibilizzazione. Sono solo alcune delle numerose esperienze di mobilitazione dal basso che attraversano in queste settimane anche grandi città come Roma, Napoli o Milano, dove anche con quaranta gradi e più si riuniscono quotidianamente gruppi di cittadini per Gaza.
C’è una specificità di queste iniziative a carattere locale: mentre aggiungono le proprie deboli voci alle iniziative di massa, rendono ancora più evidente il gap esistente tra le scelte (o non scelte) delle istituzioni locali e globali e il sentire dei cittadini. Ece Temelkuran ha scritto su The Guardian che le voci inascoltate di cittadini e intellettuali a proposito del dramma umanitario sono il segno evidente della fine della democrazia. Tengo viva la speranza che possano invece essere la sua ultima debole ma resistente àncora di salvezza, e mi soffermo in particolare sulle istanze che la animano.
In primo luogo, c’è un’istanza etica personale. Scendere in piazza e mettersi in cammino con altri diventano atti simbolici per coltivare la propria coscienza civile. La dimensione social ha il grande merito di amplificare anche piccole esperienze locali e coinvolgere in un esercizio di partecipazione un più ampio numero di persone. In secondo luogo, c’è l’istanza informativa e di sensibilizzazione. Partecipare diventa un modo per tenere viva una comunità che si informa anche con reti informali e contatti personali, prendendo le distanze da un pensiero mainstream che oscura le notizie e devia le informazioni. Infine, c’è la dimensione dell’ancoraggio fisico alla realtà, attraverso il corpo, in un luogo specifico che è quello del proprio esistere quotidiano, contrastando la tendenza della mente umana ad anestetizzare col tempo le emozioni. La filosofa Judith Butler nei giorni scorsi ha indicato il desiderio di futuro espresso collettivamente, con tutta la sua energia e bellezza, come primo antidoto alla violenza e alla distruzione globale.
È presto per dire quale forma prenderà questo movimento spontaneo dal basso, ma ci attendiamo che il tema sia recepito almeno dalle anime democratiche e popolari della politica. Di certo va riconosciuto a queste cittadine e cittadini il merito di tenere accesa la fiammella dell’umanità e della compassione, dentro l’oscura estate di violenze e atrocità.
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