Il Meazza e noi: quelle Luci a San Siro che la nostalgia non può riaccendere

Da lassù, dai distinti, dai popolari e poi dal terzo anello, il verde abbagliava anche in inverno, se la nebbia non infieriva. Un immenso rettangolo, perimetrato di bianco gesso. Che si fa ricordo
September 29, 2025
Il Meazza e noi: quelle Luci a San Siro che la nostalgia non può riaccendere
Reuters | Lo stadio di San Siro
Eravamo in centomila allo stadio quel dì, cantava Celentano. Io dell’Inter, lei del Milan. Era l’album Una carezza in un pugno e correva l’anno 1968. Niente carezza, oggi. Solo un pugno. Nello stomaco. Da knock out, altro che quelli di Duilio Loi al portoricano Carlos Ortiz il 1° settembre del 1960, quando infatti vinse soltanto ai punti. Furono in 53mila a gremire gli spalti di San Siro. Per la prima volta si disputava un match di pugilato nel grande catino della Scala del calcio. Quindi sarebbero arrivati anche i concerti, a far gioire i giovanissimi fan di Bob Marley nel lontano 1980 (poi David Bowie, Bruce Spingsteen, gli U2, i nostri Vasco Rossi, Libabue, eccetera), ma a far disperare i giardinieri chiamati a rimediare ai danni al manto erboso. Quel grande prato verde (per passare dal Molleggiato a Morandi), il grande prato dell’amore. L’amore assoluto, viscerale e irrazionale, quello che non si spiega, che ti faceva rabbrividire di freddo tre ore prima sui gradoni di un gennaio anni 70 tra estintori meteor e stock 84 sperando che bastasse davvero il cuore per vincere (recitava la pubblicità), mentre la solita voce ambulante non gridava battistiani gelati ma coca cola, aranciate, billy.
Da lassù, dai distinti, dai popolari e poi dal terzo anello, quel verde abbagliava anche in inverno, se la nebbia non infieriva. L’immenso rettangolo, perimetrato di bianco gesso. Le linee laterali, le aree di rigore e le aree piccole, i corner. Tutto era ed è ancora (per poco) magnificamente visibile da qualsiasi punto dello stadio di San Siro. Nessuna pista di atletica si frappone tra il giocatore e lo spettatore. Rivera, Mazzola, Gullit, Rummenigge, Maldini, Beccalossi, oggi Leao e Modric, Lautaro e Barella possono sentire quasi le singole voci di chi sta lassù. I boati e i fischi, gli insulti e le ovazioni. Così sgomenta, nostalgici e non, il quasi certo (i ricorsi contro la vendita dello stadio da parte del Comune di Milano sono già pronti in rampa di lancio) abbattimento del centenario monumentale “Meazza”.
Milan e Inter l’hanno acquistato per meno di duecento milioni di euro per farne uno nuovo che soddisfi «i più elevati standard internazionali». Sappiamo infatti da un pezzo che il nuovo core business del calcio è anzitutto la costruzione degli stadi. Il pallone è il mezzo, non il fine. Scudetti, salvezze e retrocessioni sono evenienze accessorie. Con buona pace del tifoso che per quell’ineffabile divinità sferica continua come sempre a dare l’anima, le coronarie e tutto il restante armamentario psicofisico di cui dispone. Sfrattare è stata del resto la parola d’ordine del calcio-business. Di profanazione in profanazione. Dalla fine della “sacra” contemporaneità delle partite domenicali con l’avvento di Telepiù più di trent’anni fa, all’attuale spezzatino con il quasi ridicolo mantenimento delle definizioni di anticipi e posticipi. Ancor più ridicolo pare poi il concetto, ogni tanto ancora sbandierato, di “attaccamento alla maglia”. Ammesso di capire quale sia la maglia di una squadra, visto il pullulare di seconde, terze e quarte divise introdotte soltanto per questioni di merchandising e usate in campo anche nella partite casalinghe rispettando soltanto criteri di marketing. Eppure il cuore matto, matto da legare, dei tifosi continua a battere per il rotolante e rutilante pallone.
Così non c’è nostalgia che tenga, non c’è stadio che resista. Nemmeno la memoria delle eroiche partite di Milan e Inter disputate sotto le epiche fronde della quercia centenaria può fermare le ruspe nella grande città del bosco verticale. E lo stadio di San Siro i cento anni li ha compiuti proprio ora, un mese fa esatto. L’età della pensione, ormai. Bisogna rinnovare, è uno stadio obsoleto, è la sentenza giunta l’altra notte dall’aula comunale. In nome del futuro, in nome del business. In forza dell’ineluttabilità. Le bandiere sventolano per poi essere ammainate. Il vento della storia gira e cambia rotta. Ogni grande canzone ci fa palpitare e poi finisce. Luci a San Siro non ne accenderanno più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA