Grande e letale irregolarità

Ammalarsi e morire di lavoro nei campi agricoli. Ammalarsi e morire per portare sulle nostre tavole pomodori, clementine, insalatine e uva. Frutta e ortaggi che grondano fatica e sangue
March 27, 2019
Ammalarsi e morire di lavoro nei campi agricoli. Ammalarsi e morire per portare sulle nostre tavole pomodori, clementine, insalatine e uva. Frutta e ortaggi che grondano fatica e sangue. Tantissimo. Troppo.
Secondo un articolo pubblicato ieri sul British Medical Journal, autorevole rivista scientifica inglese, sono oltre 1.500 i braccianti agricoli extracomunitari morti negli ultimi 6 anni in Italia a causa delle loro condizioni di lavoro: 250 all’anno, uno ogni giorno e mezzo. Morti di sfruttamento e di caporalato. Morti per le massacranti modalità di lavoro. Nell’articolo, scritto da medici italiani del Cuamm, si indaga e descrive una situazione che "Avvenire" documenta e denuncia da molto tempo, anche con lunghi reportage nelle regioni italiane. E lo si fa con l’occhio dell’uomo di scienza e col cuore del volontario. I medici del Cuamm, infatti, operano sia in Africa sia nei tantissimi ghetti italiani, da Borgo Mezzanone a San Ferdinando, l’unica ospitalità che il Paese è capace di offrire a più di 100mila braccianti immigrati.
Lavoratori tre volte sfruttati, dagli imprenditori, dai caporali e, indirettamente, dalle istituzioni nazionali e locali che li costringono a vivere in degradanti e degradate baraccopoli o tendopoli. E non è una risposta 'spostarli' da una baracca a una tenda, come in occasione del tanto sbandierato smantellamento del ghetto di San Ferdinando. Così c’è poco da stupirsi se il lavoro nei campi e la non-vita nei ghetti li fa ammalare e morire in così tanti. L’articolo parla di disidratazione dopo 10-12 ore di lavoro sotto il sole, di malattie articolari per le ore passate piegati in due o a trasportare cassette in quantità: più ne riempi e più ti pago, è la disumana regola del vietatissimo ma molto applicato lavoro a cottimo.
Ma ci si ammala anche di polmoniti e altre sindromi da raffreddamento, perché non c’è pioggia che tenga per questi schiavi dei campi, che poi tornati a 'casa' trovano solo pareti di plastica o cartone. E magari per provare a scaldarsi accendono un braciere, col rischio di morire bruciati. Ce lo raccontano i quattro morti in poco più di un anno a San Ferdinando. L’ultimo sotto una 'sicura' tenda. Ma loro nella contabilità dell’articolo non ci sono. Si parla, infatti, solo dei morti da lavoro, «questa inaudita ferocia», la definiscono i medici del Cuamm che lanciano un appello a essere «dei 'cani da guardia' che difendono gli ultimi e gli sfruttati, i più fragili».
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