Cosa (non) fa la politica seria

Piccoli e grandi esternatori politici di casa nostra si sono precipitati nella breccia aperta dalla cannonata di "Die Welt"
April 9, 2020
Cosa (non) fa la politica seria
Una rondine non fa primavera e un titolo e un commento di giornale possono fare molte cose, ma non sono – in sé e per sé – un fatto politico di prima grandezza. Saggezza popolare e buon senso dicono questo. Ma è davvero così?
Quanto alla primavera ne siamo certi: le rondini – ormai più d’una nei nostri cieli – non l’hanno portata. La lotta contro il coronavirus continua, infatti, a rinchiuderci in un strano e doloroso inverno che minaccia di stringere e rallentare, ancora e ancora, il cuore della bella stagione. Primavera, dunque, per la nostra parte di italiani e di europei possiamo farla noi, superando questa drammatica crisi senza tentennamenti, egoismi e alterigie.
Quanto al potere di un titolo e di un commento di giornale, ogni dubbio sembra purtroppo lecito. E questo a causa dell’entusiasmo feroce con cui ieri piccoli e grandi esternatori politici di casa nostra si sono precipitati nella breccia aperta dalla cannonata di "Die Welt", grande giornale tedesco che ha sparato la solita, indiscriminata e spregevole accusa di mafiosità contro tutti gli italiani (la mafia purtroppo esiste ed è una piaga aperta, in Italia e anche in Germania). "Die Welt" lo ha fatto per sostenere il punto di un presunto "dovere della fermezza" della cancelliera Merkel nell’impedire una svolta solidale della politica sociale e fiscale della Ue.
Argomentazione che colpisce, come tutti i velenosi luoghi comuni razzistoidi che purtroppo hanno ripreso a imperversare in Europa. Ma colpisce ancor di più il furore polemico politico e la veemente richiesta di presa di distanza e di formali scuse rivolta da Roma al Governo di Berlino per l’articolo di un quotidiano. Come se il Governo di un Paese democratico potesse permettersi di approvare o censurare l’opinione, anche la meno elegante o la più becera, espressa su di un organo di informazione.
In un Paese democratico, e nell’Unione Europea che sinora abbiamo faticosamente costruito, se e quando nel mestiere d’informare e di esprimere opinioni si superano i limiti di legge, della deontologia o anche solo del buon gusto, ci sono – dovrebbero sempre esserci – giudici legittimi e efficaci. «Non una mezza crisi diplomatica», come ha saggiamente commentato Giovanni di Lorenzo, direttore italotedesco del settimanale "Die Zeit" che, contemporaneamente all’acre commento di "Die Welt", ha lanciato un appello pro-Italia firmato da molti e illustri personaggi. Mentre "Der Spiegel", altro settimanale che in passato aveva confezionato copertine e inchieste urticanti sul nostro Paese, sin dalla serata di mercoledì 8 aprile ha pubblicato un commento opposto a quello di "Die Welt" e in cui è lo stesso direttore Steffen Klusmann a definire «gretto» e «vigliacco» un no di Berlino all’emissione di Eurobond richiesta soprattutto dall’Italia nel quadro della comune lotta contro la pandemia e le sue conseguenze sociali ed economiche. Si potrebbe concludere che una partita mediatica tutta tedesca si è conclusa due a uno per l’Italia.
E invece no. E invece sembra che più d’uno, a Roma, non aspettasse altro. Un’occasione per regolare, a parole, quei conti che nei fatti si fatica a far tornare. Ma per questa strada non si va lontano. L’onore dell’Italia e il futuro della nostra gente e degli altri popoli dell’Unione si difendono non con polemiche furbe, ma con scelte forti, coraggiose e innovative, qui e in Europa. È la strada che pareva ormai intrapresa, meglio restarci. E meglio, al cospetto dell’opinione pubblica, dare molto più giusto valore all’idem sentire degli europei, tedeschi e italiani per primi, piuttosto che agli insulti del commentatore di turno. Questa è una seria politica. E se questa politica produce – come ieri sera nell’Eurogruppo – un qualche utile compromesso, meglio usarlo bene. E passo dopo passo farlo evolvere, piuttosto che parlarne male.

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