domenica 24 marzo 2019
Le proposte del Forum Disuguaglianze e Diversità: contratti collettivi per tutti, salario minimo e cittadinanza attiva nell'impresa
L'ex ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca (Ansa)

L'ex ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca (Ansa)

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L’estensione erga omnes dei contratti collettivi; l’introduzione di un salario minimo (ma non troppo); il contrasto al mancato rispetto di questi stessi minimi. E ancora, il sostegno all’acquisto delle aziende in difficoltà da parte dei dipendenti e – novità più importante – l’istituzione di Consigli del lavoro e di cittadinanza nelle imprese. Sono questi i cinque “pilastri” o meglio le cinque linee di azione relative all’ambito lavoro su cui si articola la proposta del Forum Diseguaglianze e Diversità, che saranno presentate domani a Roma e che Avvenire può anticipare. L’obiettivo generale, spiegano gli animatori del ForumDD – la Fondazione Basso, ActionAid, Caritas Italiana, Cittadinanzattiva, Dedalus Cooperativa sociale, Fondazione di Comunità di Messina, Legambiente, Uisp e un nutrito gruppo di ricercatori e accademici impegnati nello studio della disuguaglianza e delle sue conseguenze negative sullo sviluppo – è quello di «ridare potere negoziale e di partecipazione al lavoro. Intervenendo sia per assicurare dignità al lavoro, sia per promuovere partecipazione strategica, autonomia e democratizzazione nel governo dell’impresa», si legge nell’articolato programma per questa parte curato da Daniele Checchi e Lorenzo Sacconi. La mèta da raggiungere in questo caso è assicurare una remunerazione dignitosa a chiunque lavori, con qualsiasi contratto, e concorrere a ridurre le diseguaglianze retributive. La prima azione individuata, utile anche a evitare un indebolimento della rappresentanza sindacale e della contrattazione, è perciò quella di estendere “erga omnes” cioè a tutti i lavoratori di un dato settore la validità del contratti collettivi firmati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative, in modo da evitare la proliferazione dei cosiddetti “contratti pirata”.

Si tratta anche di dare finalmente attuazione a quanto previsto dall’articolo 39 della Costituzione, con un intervento legislativo che recepisca un accordo tra le parti per la misurazione della effettiva rappresentatività delle singole organizzazioni. Obiettivo non difficile da raggiungere, dopo il “Patto per la fabbrica” firmato poco più di un anno fa da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil che prevede un’analoga regolazione legislativa, prevedendo un criterio di misurazione della rappresentanza che combina numero degli iscritti con i risultati delle elezioni delle Rsu e ne affida la custodia e l’applicazione al Cnel. Compiuto questo «primo e indispensabile passo», la seconda fondamentale azione sarebbe l’introduzione di un salario minimo legale che agirebbe in particolare nei segmenti di occupazione non regolati da contratto collettivo e come valore di riferimento per i lavoratori autonomi ma con scarso potere contrattuale. Il tema non è del tutto inesplorato, se ne dibatte in Italia almeno dal 2014 e in Parlamento ci sono cinque proposte di legge, di cui due al Senato già in discussione, con M5s e Pd che propongono una soglia di 9 euro rispettivamente lordi e netti. La proposta del Forum DD mira più in alto, ipotizzando un «livello di partenza non inferiore a 10 euro, corrispondenti per un lavoratore a tempo pieno a circa 20-22mila euro lordi l’anno». Dopo l’introduzione per legge, però, l’aggiornamento del salario minimo legale sarebbe affidato a una commissione composta da esperti, rappresentanti di governo e parti sociali. Il livello proposto a 10 euro l’ora è molto alto, pari a circa il 90% del salario mediano, contro il 40-60% adottato nei 22 Paesi su 28 dell’Unione Europea che già lo prevedono. Inoltre, non vengono previsti livelli inferiori per giovani o apprendisti (come avviene in molti Paesi, ultima a farlo la Germania) per «non creare una segmentazione artificiale del mercato del lavoro, con tutte le potenziali trappole di povertà che ne conseguono». Così pure – altra scelta netta – il valore di 10 euro sarebbe uguale in tutto il territorio nazionale senza differenziazioni tra Nord e Sud come previsto invece, ad esempio, nelle proposte di legge di Fratelli d’Italia e di Liberi e uguali, che inseriscono nel calcolo i differenziali dei livelli occupazionale, di produttività e costo della vita. «Un falso problema, perché il minor peso dei prezzi al Sud è in realtà compensato dalla maggiore spesa che i cittadini devono sostenere nel Mezzogiorno a causa della minore e peggiore offerta di servizi pubblici», spiega Fabrizio Barca, già ministro per la Coesione territoriale e tra i coordinatori del Forum DD. «Come diceva Paolo Sylos Labini, 'le imprese lavorano per il bene comune se non gli è più concesso di fare profitti pagando bassi salari'». Infine, perché queste due proposte, una volta realizzate non rimangano solo sulla carta, viene sottolineata l’esigenza di potenziare e meglio coordinare i servizi ispettivi di Inps, Inail e Ministero del Lavoro.

Per favorire la partecipazione, poi, si punta a sostenere e valorizzare i “Workers buy out”, cioè l’acquisto da parte degli stessi dipendenti delle imprese in crisi o in difficile transizione. Un’alternativa in positivo ai fallimenti che andrebbe favorita «rafforzando le linee di intervento della legge Marcora, la formazione delle competenze manageriali dei dipendenti e premiando fiscalmente gli stessi lavoratori impegnati nelle operazioni di acquisto e rilancio», si legge nel rapporto. La proposta più interessante, impegnativa e potenzialmente rivoluzionaria è però l’istituzione dei Consigli del lavoro e di cittadinanza nell’impresa. Per realizzare l’obiettivo di una partecipazione strategica dei lavoratori e degli altri stakeholder (portatori di interesse) alle decisioni dell’impresa, si propone l’istituzione per legge di Consigli appunto nei quali siano rappresentati tutte le tipologie di lavoratori afferenti a una determinata azienda assieme a rappresentanti delle comunità locali di insediamento, utenti e consumatori. Il funzionamento e i poteri di questi Consigli potrebbero poi essere oggetto di accordi e contrattazione, ma entro regole generali stabilite dalla norma appunto, come la nomina di uno o più componenti del Consiglio d’amministrazione della società collegata, l’obbligo di informazione e consultazione su tutte le materie strategiche e di cogestione su questioni come i livelli occupazionali, le mansioni dei lavoratori, le delocalizzazioni, i piani di remunerazione, il welfare aziendale. Nella proposta, molto articolata, del Forum DD si stabilisce in quali casi ci sia il diritto/ potere di esprimere una proposta o controproposta e forme di codecisione, la possibilità di porre veti che di fatto bloccherebbero le scelte dei Consigli d’amministrazione fino al raggiungimento di un’intesa. Al di là dei particolari, si tratterebbe certamente di un netto riequilibrio di poteri fra imprese e azionisti da una parte, lavoratori, clienti e comunità locali dall’altro. Un’ampia cessione di sovranità da parte dei primi, in cambio però di una vera e solida partecipazione dei secondi. A tutto vantaggio di uno sviluppo più innovativo, democratico e sostenibile.

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