mercoledì 10 maggio 2017
Indagine Cisl: Paese sempre più a due velocità. Nuovi indicatori per misurare il benessere delle famiglie oltre il reddito. E le Regioni del Sud vedono aumentare il divario.
Il prezzo più salato della crisi l'ha pagato la coesione sociale
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E' un’Italia a due velocità quella che tenta di liberarsi dagli effetti della lunga crisi economica. Con le regioni del Nord che stanno tornando a crescere e quelle del Sud che, partite già in forte svantaggio, continuano a perdere terreno. Non è certo una novità ma il barometro regionale della Cisl, il nuovo strumento di ricerca e analisi dei dati sul benessere e il disagio delle famiglie, fotografa un Paese spaccato a metà da tutti i punti di vista: dal Pil alla popolazione, dalle esportazioni al tasso di scolarizzazione (sotto il grafico che dà la visione d’insieme, ndr). Fratture che si ampliano invece di ridursi per assenza di politiche adeguate.


E sulle quali il sindacato, convinto che il suo ruolo non sia solo quello di fornire statistiche, spera si possa agire prima che diventino insanabili. I dati diffusi ieri, relativi al primo trimestre del 2017 (e messi a confronto con la situazione del 2007, vale a dire prima della crisi, e quella del 2014, considerato l’ultimo anno di crisi) si concentrano su tre indicatori considerati basilari per il benessere delle famiglie: il lavoro, l’istruzione e la coesione sociale. La buona notizia è che il trend si conferma positivo, rispetto al 2016, per tutti e tre gli indicatori, in particolar modo per il lavoro grazie agli sgravi sulle assunzioni a tempo indeterminato contenuti nel Jobs Act. Che hanno avuto il merito di far risalire il tasso di occupazione.

La cattiva notizia è che le regioni del Mezzogiorno sono più lente da tutti i punti di vista e si sono stabilizzate su livelli inferiori a dieci anni fa. La crisi insomma ha colpito più duramente le Regioni più deboli, accentuando le disparità. Basti dire che il Centro-Nord ha iniziato la ripresa già nel 2014, il Sud invece solo nel 2015 e con percorsi non sempre lineari. A fare la differenza, in primo luogo, il fatto che a trainare l’economia italiana in questi anni siano state le esportazioni.

Di conseguenza le regioni a maggiore specializzazione industriale (Piemonte, Lombardia, Nord-Est) hanno avuto i risultati migliori. Tra i settori in crescita quello dell’auto e il turismo al Sud, mentre l’edilizia si conferma uno degli ambiti con maggiori criticità. La regione che ha visto il suo benessere crollare negli ultimi dieci anni e che non ha ancora intrapreso la risalita è stata la Calabria. Al contrario Lazio e Piemonte sono quelle che hanno retto di più anche se le più ricche si confermano il Trentino Alto-Adige (l’unica con il Pil in crescita rispetto al 2006) e la Lombardia.

Regione che ha subito la crisi in maniera forte ma che ha reagito in maniera altrettanto consistente. Gli ultimi due anni sono stati sul fronte dell’occupazione comunque positivi: merito degli sgravi contributivi sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato introdotti nel 2015 (e in maniera minore confermati anche per il 2016) che hanno avuto effetti positivi su tutto il territorio nazionale.

Una delle differenze principali di queste misure rispetto ad interventi simili adottati in passato è stata la sua universalità. Sul fronte dell’istruzione, il parametro che appare di fatto meno condizionato dalla crisi, si è avuto sul territorio nazionale (con la sola eccezione di Calabria e Sicilia) un ritorno alle condizioni di partenza di dieci anni fa. Di certo però anche in questo ambito si registra un’enorme arretratezza del Mezzogiorno.

Legata in particolare a due elementi: l’elevato abbandono scolastico e la massiccia presenza dei 'Neet' i giovani che non lavorano e non studiano. L’indicatore della coesione sociale (il più variegato dei tre che contiene elementi legati alla parità di genere, alla mancata partecipazione al lavoro e allo spreco di competenze) è quello che invece fa registrare le performance peggiori e che colpisce in maniera generalizzata tutte le Regioni. Il Sud rimane penalizzato perché partiva da livelli di benessere inferiori anche in questo ambito ma anche Liguria, Lombardia, l’Umbria e la Toscana evidenziano un calo significativo.


1 LAVORO
Occupati, precari e cassintegrati
Il tasso di occupazione complessivo (vale a dire per la fascia di popolazione compresa tra i 15 e 64 anni) e quello di mancata partecipazione al lavoro. Ma anche la percentuale di lavoratori in cassa integrazione sul totale degli occupati-dipendenti, incidenza del lavoro precario e di occupati sovraistruiti. Sono questi gli elementi presi in considerazione dal parametro del Lavoro nel barometro della Cisl

2 ISTRUZIONE
Abbandono, Neet e laureati
Molte le variabili che costituiscono il paramentro del benessere nel campo dell’Istruzione. Percentuale di Neet con diploma di scuola media e di scuola superiore, tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione, tasso di scolarizzazione superiore e percentuale di giovani con titolo universitario. Quota non occupati che partecipano ad attività formative e di istruzione e tasso di partecipazione alla formazione continua.

3 COESIONE SOCIALE
Disoccupati e sottopagati
Il terzo è il parametro più complesso tra quelli scelti dalla Cisl per valutare il benessere e il disagio della famiglie in chiave regionale. Comprende innanzitutto il tasso di disoccupazione e il differenziale in termini di genere e di generazione sempre in ambito di disoccupazione. Ma anche l’incidenza di disoccupati di lungo periodo, di occupati part-time non per scelta e infine di lavoratori dipendenti con bassa paga.

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