mercoledì 3 aprile 2013
​Il postulatore della causa di canonizzazione ricorda Giovanni Paolo II a otto anni dalla morte, monsignor Oder: «Esempio dell'uomo di fede» (di Mimmo Muolo)
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L’uomo di preghiera. Il grande testimone della fede. Il Papa della speranza. Sono questi gli aspetti che, più di tutti, fanno percepire, a otto anni dalla sua scomparsa, la presenza spirituale di Giovanni Paolo II nella Chiesa del terzo millennio.
 
Al punto da indicarlo come l’ideale testimonial dell’Anno della fede e da far dire a monsignor Slawomir Oder: «Che bello sarebbe vederlo canonizzato in questo straordinario periodo». Il postulatore della causa di canonizzazione di Karol Wojtyla confida ad Avvenire il suo desiderio, parla del rapporto del Pontefice ora beato con il nuovo vescovo di Roma e offre una chiave di lettura per inquadrare con più esattezza la sua straordinaria figura.
 
Monsignor Oder, ci sono aspetti di Giovanni Paolo II che non conoscevamo e che il suo cammino verso gli altari ha messo in evidenza?
Aspetti totalmente nuovi, direi di no. Ma è emersa la profondità di alcuni aspetti che pure erano davanti ai nostri occhi anche durante la sua vita. Uno di questi è la profondità della sua preghiera. Ci siamo accorti, infatti, grazie alle testimonianze rese nel processo, di quanto profonda fosse la sua vita spirituale, il suo raccoglimento, il suo amare Cristo eucaristico, e il suo essere unito a Lui proprio nella preghiera. Sappiamo ora che sia durante i viaggi, sia anche nel periodo della malattia, dopo giornate faticosissime, il Papa restava tutta la notte a pregare, senza toccare il letto. La preghiera era il propellente per tutta la sua vita di fede, la molla più radicale della sua azione pastorale. E sembra davvero di risentire in lui l’eco della parole di san Paolo: Caritas Christi urget nos.
 
A otto anni di distanza dalla sua morte, qual è dunque l’aspetto di Giovanni Paolo II che emerge di più?
Credo che gli aspetti siano due e intimamente collegati tra loro. Prima di tutto il suo profondo legame con Dio. Davvero egli è stato l’esempio dell’uomo di fede, un autentico uomo del Vangelo, che si è incarnato nella sua vita. Da questo punto di vista penso che il Regista divino abbia voluto concludere la sua vicenda umana con un’immagine che abbiamo tutti davanti agli occhi: il libro dell’evangeliario, sfogliato dal vento sulla bara del Papa e poi chiuso come a dire «tutto è compiuto». Il secondo aspetto, discendente dal primo, è stata la capacità dell’incontro autentico con le persone. Aveva questa capacità perché in ogni persona percepiva la presenza di Cristo. E in questo modo il rapporto profondo con il Signore, vissuto nell’esperienza di preghiera intensa, veniva tradotto nel linguaggio di carità, di amicizia, di accoglienza e di incoraggiamento per tutti coloro che incontrava.
Abbattimento del Muro, rapporto straordinario con i giovani, attenzione costante alla famiglia. Quale di questi tre elementi caratterizza maggiormente il suo pontificato, secondo lei?
Tutti, perché in ognuno di essi possiamo percepire il filo conduttore che ha caratterizzato la sua vita e il suo pontificato, come ha sottolineato anche papa Francesco. L’essere stato un testimone di speranza. A proposito del Muro dobbiamo ricordare che lo stesso Giovanni Paolo II sottolineava soprattutto il ruolo della Provvidenza, di Cristo come centro della storia, che dunque ne può cambiare il percorso, anche quando agli uomini sembra impossibile. Per quanto riguarda i giovani, egli ha incarnato la vera paternità, cioè la figura del padre che da suo figlio può e deve pretendere molto, ma senza giudicare. «Giovani, siate esigenti con voi stessi», soleva ripetere. E infine la famiglia, cioè il futuro dell’umanità. Giovanni Paolo II ci ha insegnato che distruggere la famiglia significa tagliare le radici della società.
Qual è stato il rapporto tra Giovanni Paolo II e papa Francesco?
Nonostante la distanza geografica, per quanto mi consta ci sono stati diversi incontri, che hanno prodotto grande stima reciproca. Non a caso Giovanni Paolo II ha nominato vescovo padre Bergoglio, poi lo ha voluto arcivescovo di Buenos Aires e cardinale.
Per tutti questi motivi, dunque, ci starebbe bene la canonizzazione nell’Anno della fede
Senz’altro papa Wojtyla è un testimone per eccellenza della fede vissuta anche in situazioni che mettono a nudo il cuore dell’uomo, come la malattia e la sofferenza. Ma per la canonizzazione non sono io che devo fare queste valutazioni, anche se sicuramente è il mio desiderio. E senz’altro sarebbe anche un messaggio molto bello per tutta la Chiesa, che ancora vive molto la presenza spirituale di Giovanni Paolo II.
 

 
 
«Santo subito». L’auspicio dei fedeli in piazza San Pietro il giorno dei funerali di Giovanni Paolo II potrebbe presto diventare realtà a tempo di record. Il 28 aprile 2005 Benedetto XVI concesse la dispensa dai canonici cinque anni di attesa dopo la morte per l’inizio della causa, dandone poi egli stesso l’annuncio il 13 maggio, nel corso del suo primo incontro con il clero romano nella Basilica di San Giovanni al Laterano. L’iter venne aperto ufficialmente il successivo 28 giugno dal cardinale Camillo Ruini, all’epoca vicario generale del Papa per la diocesi di Roma. La beatificazione si svolse in piazza San Pietro il 1° maggio 2011, sei anni e un mese dopo la morte. Memorabile resta il lunghissimo applauso della folla al momento della proclamazione da parte di Benedetto XVI.
 
Mimmo Muolo
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