sabato 30 gennaio 2021
Il cardinale, tra i più stretti collaboratori di Francesco, spiega le sue parole sul «Sinodo nazionale»: «C’è l’indicazione di una strada per comprendere che cosa ci sta dicendo la realtà»
Marcello Semeraro con papa Francesco in una immagine del 2018

Marcello Semeraro con papa Francesco in una immagine del 2018 - Archivio Avvenire

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Chi ha partecipato all’udienza di oggi nella Sala Clementina è uscito con un largo sorriso stampato in volto: non è esagerato parlare di gioia per le parole del Papa, quelle del discorso previsto e – molto di più – per le improvvisazioni su temi e con argomenti che aprono una pagina bianca tutta da scrivere, ma forse persino un intero libro. Tra i presenti, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, e ancora – «per poco, purtroppo» – vescovo di Albano. Consigliere del Papa e pastore: l’ideale per capire a fondo.

Cos’ha voluto dire il Papa?

Per capire il discorso di Francesco va notato che la sua riflessione è in rapporto al Convegno ecclesiale di Firenze, dove è scolpita l’intuizione di una strada. La Chiesa italiana viene incoraggiata sulla via del convenire, che è cosa più ampia del "fare un convegno", anche se ovviamente lo include. Oggi dobbiamo chiederci come mai sono passati largamente nel dimenticatoio contenuti e percorsi non solo di Firenze 2015 ma anche di Verona 2006, dove si era intuito il riferimento agli ambiti di vita. Sinodalità, convenire, discernimento sono parole che ritroviamo persino nel Convegno nazionale di Palermo 1995, eppure oggi suonano ancora nuove: le abbiamo considerate come acqua lasciata scorrere senza assorbirla?

Cosa significa «incominciare un processo di Sinodo nazionale»?

Il Papa ci ha parlato più volte di "sinodalità dal basso", intendendo che il primo livello si realizza nelle Chiese particolari tramite organismi di comunione, consigli presbiterali e pastorali, collegi di consultori: solo se questi e altri organismi partono dai problemi e dalle domande della gente la Chiesa assumerà un volto sinodale.

Il Papa ha anche detto che «nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo». Cosa intende dire?

Da Firenze uscì la descrizione di una sinodalità che si esprime su tre livelli: anzitutto lo stile, cioè gli atteggiamenti di vita quotidiani, poi le strutture di dialogo e di ascolto, e solo in terzo luogo gli eventi sinodali.

Cosa intende per «ascolto»?

Un atteggiamento che riguarda la vita della Chiesa e della gente nella sua realtà, dunque non su un’agenda prefissata su temi selezionati. Il Papa ha parlato a chiare lettere di una Chiesa che sta vicina al popolo, non di una Chiesa concentrata su grandi nodi ecclesiastici che somigliano più a terreni di confronto ideologico. È quella che lui definisce la Chiesa ispirata allo stile del Buon Samaritano, che fascia le piaghe e vive la compassione. Un’altra citazione di Firenze, ma è ciò che disse Paolo VI nel discorso conclusivo del Concilio.

Che metodo legge dentro quel che indica il Papa?

La valorizzazione delle strutture dove sono all’opera l’ascolto e il dialogo, ci si parla con creatività e si vive il discernimento, nell’accezione di sant’Ignazio: rileggere tutte le situazioni secondo il progetto di Dio.

E cosa sta dicendo la pandemia?

È indispensabile chiederselo. Quando Cartagine fu colpita dalla peste, nel terzo secolo, san Cipriano disse che non bisognava domandarsi di chi fosse la colpa ma quali strade Dio stava aprendo. Non deve accadere che si attenda la fine della pandemia per riprendere a fare tutto come prima: Francesco ci ripeterebbe che va eliminato l’assioma del "si è sempre fatto così".

Cosa vuol dire, tradotto nella pratica?

Provo a fare qualche esempio. Giorni fa incontravo i parroci della mia diocesi, e uno di loro ha detto che l’emergenza ci ha fatto capire come la catechesi debba puntare sulle famiglie e non badare solo a bambini lasciati per un’ora in parrocchia e poi recuperati. Oppure: le povertà emerse hanno indotto le parrocchie a collaborare con i Comuni e i volontariati civili. E ancora: quanta gente che si dice atea è venuta a dare una mano, o che non si era mai vista si è affacciata alle nostre proposte? Gli stessi ragazzi che abbiamo anestetizzato con nuovi consumi ci stanno dicendo che invece vogliono più relazione. La gente mostra un’enorme domanda di senso della vita, la nostra risposta non può limitarsi ad altre liturgie... La Chiesa attraversata da processi sinodali è una Chiesa «col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza». Lo disse a Firenze, l’ha ripetuto adesso.

Come evitare che questo percorso sia limitato ai "soliti noti"?

Se si dà spazio alla vita inevitabilmente il giro si allarga. Il modello che mi viene in mente è quello di san Pacomio, un pagano del quarto secolo reclutato a forza e incarcerato in attesa di andare in guerra. In cella la sera riceve la visita di cristiani che si prendono cura delle necessità materiali dei prigionieri: la loro testimonianza di carità provoca le domande che gli fanno decidere di diventare uno di loro appena uscito da quella situazione, anche se neppure sapeva chi fosse Dio. Ebbene, da quell’uomo nacque la vita monastica. Vanno fatte scaturire le domande, non partire dalle risposte: sennò, chi vogliamo che ci dia retta?

Perché il Papa ha parlato di Sinodo in un discorso sulla catechesi?

La catechesi è stata la prima forma attraverso la quale la Chiesa in Italia si è mostrata come Chiesa di una comunità nazionale, il canale per far entrare in circolo lo spirito conciliare, e oggi ancora il percorso più frequentato persino della Messa domenicale. È la via d’ingresso nella Chiesa. Un contesto quindi molto significativo.

Cosa chiede allora il Papa alla Chiesa italiana?

Quello che ha detto nelle digressioni improvvisate: vuole una Chiesa che parla "il dialetto della gente", cioè la porta per entrare nel suo cuore e far capire che Dio ha cura di ciascuno; una Chiesa di popolo, non elitaria o esclusiva; una Chiesa conciliare; e di conseguenza una Chiesa avviata su processi sinodali, cioè in cammino.

E cosa legge nel perentorio richiamo al Concilio?

Francesco è figlio del Vaticano II, che per lui è il disegno di una Chiesa materna che vibra al soffio dello Spirito. Vuole vedere questo tratto impresso nel volto di una Chiesa italiana in sintonia con la gente, partecipata, capace di guardare la realtà e il mondo così come sono.

Va bene il percorso: ma un Sinodo si farà?

Mi auguro di sì, come esito dell’ascolto, del discernimento, e di scelte che impegnino tutti.



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