venerdì 29 aprile 2022
Il segretario di Stato alla Lumsa per presentare il libro di papa Francesco “Contro la guerra”: “La pace è nell’interesse dei popoli. Rafforzare la partecipazione agli organismi internazionali"
Parolin: diritto alla difesa, ma limitarsi alle armi è una risposta debole
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«Di fronte alla tragedia che vediamo accadere in Ucraina, di fronte alle migliaia di morti, ai civili uccisi, alle città sventrate, ai milioni di profughi — donne, vecchi e bambini — costretti a lasciare le loro case, non possiamo reagire secondo quello che il Papa chiama lo schema di guerra». Il cardinale Pietro Parolin, appena tornata da un viaggio istituzionale in Messico, rimarca la posizione del Papa e della Santa Sede sul conflitto iniziato dalla Russia. Auspicando che si ritorni ad un dialogo multilaterale come fu quello che portò allo storico Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa firmato Helsinki nel 1975 e con un forte invito a «trattare senza precondizioni».

Il segretario di Stato parla all’Università Lumsa di Roma dove presenta il volume Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace (Edizioni Solferino-LEV) che raccoglie gli interventi di papa Francesco contro la guerra. Insieme al porporato — nell’incontro moderato da Fiorenza Sarzanini, vicedirettore del Corriere della Sera — ci sono l’ex presidente della Commissione Europea ed ex premier Romano Prodi, e il rettore della Lumsa, Francesco Bonini.

Il porporato auspica il recupero dello «spirito» dell’Atto di Helsinki firmato per andare «oltre la logica dei blocchi», con «Est ed Ovest si unirono sulla via della distensione», e con «il ruolo svolto allora dalla Santa Sede e dalla delegazione guidata dal futuro cardinale Agostino Casaroli». Parolin chiede di «rafforzare la partecipazione agli organismi internazionali e anche ritrovare una maggiore capacità di iniziativa europea». «Non entro – puntualizza - nel merito delle decisioni che i vari Paesi hanno preso per l’invio di armi all’Ucraina, che come nazione ha diritto a difendersi dall’invasione subìta». Tuttavia, aggiunge, «limitarsi alle armi rappresenta una risposta debole». Mentre una risposta forte è intraprendere «iniziative per fare cessare i combattimenti, per arrivare a una soluzione negoziata, per pensare a quale sarà il possibile futuro di convivenza nel nostro Vecchio Continente».

Nell’intervento di Parolin riecheggiano più volte gli appelli di papa Francesco per la pace, come quelli dei suoi predecessori. E non manca l’invito a smetterla di «costruire un mondo fondato sulle alleanze militari e sulle colonizzazioni economiche», con l’esortazione a «costruire un nuovo sistema di relazioni internazionali, non più basato sulla deterrenza e sulla forza militare» in modo da evitare di «correre verso il baratro della guerra totale».

Parolin risponde anche ad alcune domande formulate dalla Sarzanini. Richiesto se vi siano ancora le condizioni per rimettersi al tavolo delle trattative, il cardinale si dice «pessimista» visto che «tentativi ci sono stati ma non hanno avuto seguito». Però, allo stesso tempo, rimarca il porporato, «non ci sono altre alternative: bisognerà continuare a proporre che si fermino le azioni belliche e si torni a trattare». E, specifica, a «trattare senza pre-condizioni», così da «trovare soluzioni condivise», perché altrimenti «la guerra continuerà a divorare i figli dell’Ucraina e la pace che si costruirà non sarà una pace giusta e duratura, ma un’imposizione di alcune condizioni, premessa di altri conflitti, altre tensioni».

L’auspicio del più stretto collaboratore del Papa è quindi che si mostri «flessibilità» superando «le posizioni rigide», perché «il negoziato comporta sempre un compromesso». Parolin poi ribadisce l’importanza di «tornare allo spirito» della Conferenza di Helsinki, «andato perduto troppo presto». «Questa guerra — conclude — forse nessuno pensava che sarebbe scoppiata, che si sarebbe trovato qualche escamotage. Ho l’impressione che sia stata la conseguenza ovvia di un processo degli ultimi decenni. La Santa Sede ha parlato di erosione del multilateralismo: si vedeva che le nazioni e i responsabili non credevano più in una soluzione comune dei problemi. Era logico che si sarebbe andati verso questa conclusione e si andrà di più se non si metterà fine a questa tendenza».

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