lunedì 18 febbraio 2013
​Nei gesti e nelle parole di Benedetto XVI la gioia di portare Cristo all'uomo contemporaneo.
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Come cinquant’anni fa. Per assolvere «il compito comune» di far «risplendere la verità e la bellezza della fede nel nostro tempo». Ritrovando la «tensione commovente» di allora, quando le porte del Concilio si aprirono davanti al mondo, per dire che la Parola è parola per l’oggi, viva, attuale, densa di un significato che, se appare impolverato, è per la trascuratezza dei credenti. Ed è per tutto questo che, allora, è necessario ritrovare la bellezza della fede, ritornare ai «documenti» e alla «lettera» di quella grande Assemblea che cambiò la Chiesa, per trovarne la «vera eredità, al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti» e coglierne, così, «la novità nella continuità».Quando papa Ratzinger aveva annunciato l’intenzione di convocare un Anno della fede a cinquant’anni dall’apertura del Concilio ecumenico Vaticano II, c’era stata la – solita – corsa all’interpretazione di una decisione del genere. Chi leggendola in senso riduttivo – l’Anno della Fede come chiusura della stagione conciliare, quasi a decretarne il fallimento – chi in senso opposto. Agli uni e agli altri la risposta l’ha data lo stesso Benedetto XVI, e proprio nel giorno in cui l’ha aperto, lo scorso 11 ottobre, lo stesso in cui, nel 1962, Giovanni XXIII apriva solennemente il Concilio, sottolineando il legame imprescindibile di questi dodici mesi dedicati alla radice del credere, l’indispensabile continuità che ogni credente è chiamato a rinsaldare, in un oggi in cui a tutta la Chiesa è chiesto di «ravvivare quella positiva tensione, quell’anelito a annunciare Cristo all’uomo contemporaneo».Ecco, nella visione del Papa, col suo annodarsi idealmente e concretamente al Concilio, l’Anno della fede vuole e deve essere, in questo senso, la risposta alla «desertificazione spirituale» degli ultimi decenni. Per questo, esso si propone esplicitamente come «un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo». E l’ha spiegato, ricordando come in quella sera del 1962 «eravamo felici e pieni di entusiasmo, il grande Concilio ecumenico si era inaugurato ed eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera per la Chiesa, una nuova Pentecoste, una nuova presenza liberatrice del Vangelo». Così, «anche oggi siamo felici, portiamo la gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia più sobria, una gioia umile: in questi cinquanta anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali, che possono divenire strutture di peccato, visto che nel campo del Signore c’è anche la zizzania, che nella rete di Pietro ci sono anche pesci cattivi, che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando con vento contrario, con minacce contrarie. E qualche volta abbiamo pensato: "Il Signore dorme e ci ha dimenticato"».Proprio come l’altro giorno, parlando ai suoi preti della diocesi di Roma, e ricordando quella stagione, ha lucidamente sintetizzato il percorso di un Concilio che, pur con i suoi contrasti e difficoltà, mai nascosti da Benedetto XVI, ha saputo davvero proporsi come profezia, così lo scorso ottobre aveva ricordato come in quei giorni di mezzo secolo fa «abbiamo fatto esperienza della presenza del Signore, della sua bontà della sua presenza: il fuoco di Cristo non è divoratore né distruttivo, è un fuoco silenzioso, una piccola fiamma di bontà: il Signore non ci dimentica, il suo modo è umile, il Signore è presente, dà calore ai cuori, crea carismi di bontà e carità che illuminano il mondo e sono per noi garanzia della bontà di Dio. Sì, Cristo vive con noi e possiamo essere felici anche oggi».Ecco, è questa felicità nella fede che Benedetto XVI ci propone di riscoprire in quest’anno, aprendo la porta della fede con lo stesso slancio, lo stesso entusiasmo, la stessa fiducia in un Signore che cammina sempre a fianco del suo gregge. Ed è questa la buona notizia che è necessario portare al mondo. E, dunque, la scoperta che occorre fare, o ri-fare, è che la fede stessa è la nostra vera ricchezza, il nostro lato migliore. Riaprire quella porta che, distratti o troppo presi che fossimo, anche con le migliori intenzioni, da tutto il resto, ci siamo dimenticati perfino che esistesse. E che oggi Papa Benedetto invita ciascuno a varcare, per ritrovare il gusto vero dell’essere cristiani, e per ridirlo al mondo.
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