lunedì 27 febbraio 2017
Slovacco, passò tredici anni tra prigione e lavori forzati. Sette i nuovi venerabili, tra cui gli italiani don Antonio Provolo, Vittorio Trancanelli e suor Maria Ripamont
Foto segnaletica di Titus Zeman in carcere

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«Anche se perdessi la vita, non la considererei sprecata, sapendo che almeno uno di quelli che avevo aiutato è diventato sacerdote al posto mio». Sono parole che pronunciò nel mezzo del suo calvario don Titus Zeman (1915-1969), religioso salesiano slovacco, morto per i postumi di 13 anni di torture, carcere e lavori forzati sotto il regime comunista dell’allora Cecoslovacchia. II Papa ha autorizzato ieri la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto che ne riconosce il martirio, per cui don Zeman sarà presto beatificato.

«Spia del Vaticano». L'arresto e le torture

Era nato in una famiglia profondamente cristiana a Vajnory, vicino a Bratislava, primo di dieci figli. Dopo un’infanzia segnata da continue malattie, a 10 anni, guarito, aveva promesso alla Madonna di spendere la sua vita al suo servizio nella famiglia di Don Bosco. Ordinato sacerdote a Torino nel 1940, rientrato in patria, dopo la guerra finì subito nel gorgo della persecuzione comunista. Nel 1946 perse l’insegnamento per avere difeso a scuola il crocifisso. Riuscì a organizzare due spedizioni clandestine di religiosi salesiani, per portarli a studiare a Torino. Alla terza fu però catturato. Fu processato e condannato come spia del Vaticano. Iniziò la sua via Crucis, fatta di centinaia di giorni di isolamento e di esperimenti sulla sua pelle: fu costretto alla triturazione manuale e senza protezione dell’uranio radioattivo. Nel 1964 fece ritorno a casa ormai irriconoscibile. Morì accompagnato dalla fama di santità e persino le spie presenti ai funerali ne parlarono nei verbali come di un martire che aveva sofferto per la sua Chiesa.

Gli italiani dalle «virtù eroiche»

Sempre ieri, ricevendo il cardinale Angelo Amato, prefetto del dicastero della Cause dei santi, il Papa ha autorizzato i decreti con cui sono riconosciute le virtù eroiche di sette nuovi venerabili. Tre di loro sono italiani. Si tratta di don Antonio Provolo (1801-1842), sacerdote della diocesi di Verona, fondatore dei padri e delle suore della Compagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti; Vittorio Trancanelli (1944-1998), nato a Spello (Perugia), medico e padre di famiglia: dopo la nascita dell’unico figlio naturale, insieme alla moglie accolse in casa altri sette ragazzi, alcuni dei quali disabili, e con altre famiglie fondò l’associazione “Alle Querce di Mamre”; infine suor Lucia dell’Immacolata, al secolo Maria Ripamonti (1909-1954), della Congregazione delle Ancelle della Carità: nata ad Acquate (Lecco) fu un esempio per le sue consorelle di abnegazione, umiltà e carità.

Luce da Perù, Messico e Spagna

Gli altri venerabili sono Octavio Ortiz Arrieta (1878-1958), prima salesiano peruviano e vescovo di Chachapoyas per 37 anni; il gesuita messicano Antonio Repiso Martínez de Orbe (1856 -1929), fondatore delle Suore del Divino Pastore; la spagnola Mercedes Cabezas Terrero (1911-1993), fondatrice delle Operaie Missionarie del Sacro Cuore di Gesù; lo spagnolo Pietro Herrero Rubio (1904-1978), stimato pediatra, uomo di straordinaria generosità e vita di orazione.

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