sabato 14 ottobre 2023
«Mi ferisce il tentativo di prendere i Papi come bandiere di parte». Il 93enne cardinale spagnolo racconta in un libro di ricordi personali il suo legame speciale con "Due Papi": Benedetto e Francesco
Il cardinale Julian Herranz

Il cardinale Julian Herranz - Gianni Proietti - Pontificia Università Santa Croce

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«Il fatto che lei abbia impiegato tempo, lavoro e sforzo per scrivere questo libro mi lascia senza parole: una cosa che (perdoni l’espressione) la mette in mostra come enfant terrible. Ed essere enfant terrible a 92 anni è una grazia, una manifestazione sovrabbondante di umorismo. E, a mio giudizio, l’umorismo è ciò che meglio mette in evidenza la maturità e grandezza di un anziano ».

Facile immaginare il sorriso commosso col quale il cardinale Julián Herranz avrà letto queste righe autografe di papa Francesco accogliendo la sua richiesta di poter attingere alla loro corrispondenza privata per fondare con la massima precisione i ricordi di un lungo tratto di vita ora pubblicati nel libro Due Papi (Piemme, 416 pagine, 22 euro), prezioso e godibile diario di un legame profondo con Benedetto e Francesco, ma prima ancora documento di una fedeltà assoluta e cristallina alla Chiesa e a Pietro. Spagnolo dell’Andalusia, classe 1930, psichiatra di formazione, prete dal 1955, fu chiamato al servizio della Curia romana nel 1960. E da allora ha inanellato incarichi sempre più delicati al servizio diretto di tutti i Pontefici. Ora guarda la Chiesa con immutato amore, giovanile e avvolgente come il suo humour.

Eminenza, partiamo dall’attualità: cosa si attende dal Sinodo in corso in Vaticano?

Questo Sinodo mi sembra il tentativo più importante e pastoralmente incisivo per applicare l'ecclesiologia di comunione e la teologia del laicato del Concilio Vaticano II. Ho avuto la fortuna di partecipare come giovane collaboratore al Concilio. A distanza di 60 anni, credo sia sempre più chiaro che il cuore dell'assemblea aveva molto a che fare con la promozione dei fedeli laici e la chiamata universale di tutti i battezzati alla santità e all'apostolato: ogni uomo e ogni donna nella Chiesa dovrebbe prendere sul serio il battesimo. La missione di evangelizzare appartiene a tutti, non solo a vescovi, sacerdoti o religiosi. Proprio ieri ho incontrato un vescovo del Kenya che arrivava al Sinodo dopo aver svolto sessioni preparatorie con settemila laici della diocesi. Prego Dio che la volontà del Papa di avviare questo processo di ascolto a tutti i livelli, di promuovere il desiderio di camminare insieme, pastori e laici, inneschi un tempo di grazia nella Chiesa.

Da cosa nasce questo libro? Perché ha voluto unire nei suoi ricordi due Papi?

Soprattutto, volevo mostrare l'unità tra i pontificati di Benedetto XVI e Francesco attraverso le mie esperienze personali. Mi ha ferito la tendenza a politicizzare la religione, a prendere i Papi come bandiere di una parte o dell’altra: Benedetto “conservatore”, Francesco “progressista”. Mi sembra un atteggiamento falso, che impoverisce la Chiesa. La mia esperienza personale è che non c'è stata questa contrapposizione né dottrinale né personale. Al contrario: si sono amati e rispettati molto. Sono due pontificati di grande complementarietà: Benedetto e Francesco sono due altoparlanti per i credenti e per tutti gli uomini. Benedetto ha sottolineato negli areopaghi del mondo la necessità di un'armonia tra ragione e fede nella ricerca della verità, di fronte alla “dittatura del relativismo”; Francesco insiste sull’amore per il prossimo, sulla lotta alla “globalizzazione dell’indifferenza”. Al credente in mezzo al mondo fa molto bene sentire queste due campane.

Cosa la legava in particolare a papa Benedetto?

Un sentimento di profonda stima. Prima che diventasse Papa abbiamo lavorato insieme molte volte, e sono rimasto colpito dalla sua delicatezza e capacità di lavoro. Poi, come successore di Pietro, mi ha affidato vari problemi e commissioni speciali: il caso “Vatileaks”, il fenomeno mariano di Medjugorje, la situazione della Chiesa in Cina, e altri. Vedo Benedetto XVI come un “Padre della Chiesa”. Ci ha insegnato a cercare, conoscere e amare Cristo, ad esempio con la sua trilogia Gesù di Nazareth, incoraggiandoci a pensare e a vivere in modo cristiano, in mezzo a una società tendenzialmente pagana. La sua eredità è una luce potente per l'intelligenza di molti cristiani del futuro.

Da cosa si sente unito a papa Francesco?

Trovo provvidenziale la sua preoccupazione evangelica di portare la luce e l'amore di Cristo a tutte le persone, e in modo particolare alle più bisognose, quelle escluse dalla società agnostica e consumista. E anche la sua spinta per la “santità della porta accanto”, per capire e vivere la santità nella vita ordinaria del cristiano: una soluzione a molti problemi di questo mondo ferito. Pur essendo già in pensione quando è iniziato il suo pontificato, ho avuto la gioia di collaborare con lui in vari incarichi di governo. Negli incontri personali mi ha colpito la sua profonda umanità e la sua attenzione – anche fisica – alla persona che aveva davanti. Si è divertito molto in un Concistoro in cui, citando la norma giuridica che obbliga a ritirarsi all’età di 80 anni, gli ho parlato scherzosamente di “eutanasia canonica”.

Come ha vissuto lungo la sua vita il rapporto con i Papi, con Pietro?

Con gratitudine verso Dio e cercando di servire ogni Papa nei modi e compiti di cui avesse bisogno. Il giovane medico arrivato a Roma più di 60 anni fa non avrebbe mai pensato che la sua vita avrebbe preso queste strade, e che sarebbe finito a lavorare per sei Pontefici, sempre al servizio di Pietro. Queste sono le sorprese che riserva Dio Padre: come i padri della terra, “gioca” con i suoi figli. Da quando sono cardinale ho anche il diritto e il dovere di dire al Papa ciò che, in coscienza, meditato nella preghiera, giudico necessario o utile per il suo difficile ministero. Ma è giusto che lo faccia lealmente, in udienza o per iscritto, “in faccia”, e con umiltà, con l’opzione “cestino”, senza pretendere di avere ragione o di dare lezioni. In questo libro ho cercato di riferire alcuni esempi.

Davanti a tante divisioni nella Chiesa, e anche critiche al Papa, qual è a suo avviso l’atteggiamento che deve avere il credente?

In venti secoli di storia c'è sempre stata una sana diversità di opinioni su molte questioni, un riflesso legittimo delle diverse culture e preferenze. Tuttavia, la divisione che porta a mettere violentemente o sprezzantemente un fratello contro l'altro è opera del diavolo. Quando la diversità di opinioni diventa polarizzazione permanente genera odio e “cainismo” (lo spirito di Caino), che mette gli uni contro gli altri coloro che sono chiamati a vivere insieme, fraternamente. Il comportamento del cristiano – anche quando non è d'accordo – dovrebbe ispirarsi sempre al comandamento nuovo: l'amore unisce, la corruzione divide.

Come ha affrontato i non pochi momenti difficili dei quali scrive nel suo libro?

Con la serenità di sapere che Dio è davvero il signore della storia. Dopo decenni di servizio, ho potuto constatare che non sono mai mancate le difficoltà, ma la barca della Chiesa è guidata da Gesù. Ho anche sperimentato che, proprio in quei momenti, avvengono contemporaneamente miracoli meravigliosi di cui a volte non siamo consapevoli. Per fare un esempio: nelle ore buie che hanno preceduto la Seconda guerra mondiale Dio ha fatto piovere la sua grazia straordinaria su santa Faustina Kowalska.

Cosa alimenta oggi il suo amore per la Chiesa, che vive un tempo di cambiamento non facile?

Da quando mi sono sentito chiamato dal Signore il mio principale nutrimento è stato l'amore: a Cristo, e a tutti per amore di Cristo. Ecco perché con il passare degli anni mi sforzo continuamente di essere “innamorato”. Chi vive così è sempre giovane, gioioso e speranzoso. Un altro motivo di gratitudine a Dio è che, in questo ultimo secolo, abbiamo avuto una serie insolita di Papi santi nella Chiesa. Questa è una carezza dello Spirito Santo alla Chiesa e all’umanità, che ci riempie di speranza.

Lei ha vissuto per anni accanto al fondatore dell’Opus Dei: cosa deve a san Josemaría Escrivà?

Gli devo molto. Se non fosse stato per lui e per il suo messaggio oggi non sarei qui. L'ho conosciuto durante gli anni dell'università. A Roma, vivendo al suo fianco, ho imparato ad amare Cristo con una profondità gioiosa e totalizzante. È stato un profeta della santità laicale. Ha incoraggiato e accompagnato migliaia di uomini e donne a incarnare e diffondere il Vangelo nella loro vita ordinaria, nel loro lavoro. Essere Chiesa in mezzo al mondo non significa come prima cosa partecipare alle strutture ma approfondire nella vita di tutti i giorni la propria vocazione battesimale: animare il mondo dall'interno, essere Cristo che passa per le vie del mondo. Come insisteva san Josemaría, essere seminatori di pace e di gioia.

Qual è oggi la sua preghiera per il Papa?

Una molto semplice, che ripeto spesso: «Vieni, Santo Spirito, riempi il cuore del Papa, e accende in esso il fuoco del tuo Amore».

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