venerdì 6 marzo 2020
Il porporato lo scorso 30 gennaio era stato assolto in appello dall’accusa di non aver denunciato gli abusi su minori dell’ex presbitero Bernard Preynat
Il cardinale Barbarin al tribunale di Lione lo scorso 28 novembre

Il cardinale Barbarin al tribunale di Lione lo scorso 28 novembre - Ansa

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«Ai miei fratelli e sorelle della diocesi di Lione, nel momento in cui papa Francesco mi solleva dalla mia carica pastorale, un grande grazie, e un’indicazione molto semplice: seguire Gesù da vicino in una Chiesa al servizio, fraterna e missionaria». Giunte a metà giornata via Twitter, queste parole del cardinale Philippe Barbarin hanno commosso i fedeli francesi. Per tanti di loro, l’arcivescovo ormai emerito ha rappresentato a lungo un fulgido punto di riferimento.

Per il porporato, occorre «voltare pagina» per far giungere una ventata d’aria fresca, dopo la fosca scia, innanzitutto per la Chiesa a Lione, lasciata dallo svolgimento del doloroso processo penale sui presunti silenzi diocesani circa i crimini dell’ex prete pedofilo Bernard Preynat.

Prosciolto in appello lo scorso 30 gennaio, come aveva sempre chiesto la stessa procura di Lione, il cardinale avrebbe potuto riprendere le proprie funzioni d’arcivescovo. Ma ai collaboratori più fedeli e a tutti i fedeli della diocesi, talora increduli di fronte alla sua intransigente volontà di lasciare, Barbarin aveva spiegato con calma la scelta di rinnovare la propria domanda di dimissioni al Papa. Un’offerta accettata da Francesco, come ha annunciato in mattinata monsignor Michel Dubost, amministratore apostolico di Lione.

Per tanti fedeli, il momento amaro del commiato è stato mitigato da una certa forma di sollievo, dopo il disagio più volte ribadito dal cardinale a proposito del clima lasciato dal lungo scossone mediatico-giudiziario. Barbarin, 69 anni, ha spesso riconosciuto la profondità e gravità del dramma della pedofilia nella Chiesa. In quest’ottica, durante il processo, era rimasto profondamente ferito dalla configurazione presa dal dibattimento: dei fedeli della sua diocesi, ex scout vittime di abusi risalenti ad anni anteriori al 1991 pronti a denunciare degli alti responsabili della loro stessa Chiesa, non in una logica vendicativa, ma reclamando la necessità imperiosa di mondarla dall’interno.

I casi di abusi di Preynat finora documentati sono circa una settantina, talora riconosciuti da lunga data dallo stesso ex presbitero, in quanto dimesso nel 2019 dallo stato clericale, che aveva inviato lettere manoscritte di scuse ad alcuni familiari, tanti anni prima dell’arrivo di Barbarin nel 2002 come arcivescovo metropolita di Lione.

Nel 2016, dopo aver avviato un’indagine preliminare per omessa denuncia di abusi sessuali, la Procura della Repubblica di Lione aveva archiviato il caso, non ravvisando rilievi penali contro Barbarin ed altri responsabili diocesani. Ma le accuse erano state poi rilanciate dalla tenace «volontà di verità» delle vittime, a cominciare dai fondatori dell’associazione “La Parola Liberata”, pronti a ricorrere a un controverso iter giudiziario contemplato in Francia e in pochi altri ordinamenti: la citazione diretta a giudizio a carico delle vittime.

Oggi, al momento di un primo bilancio su un caso che ha spaccato la Francia, pare innegabile il triste corollario dei tanti attacchi indiscriminati contro la Chiesa, soprattutto di stampo laicista, emersi a ridosso delle vicende processuali. Ma altrettanto innegabile sembra la presa di coscienza generale sul dramma della pedofilia, dentro la Chiesa e fuori, che il processo ha contribuito a suscitare. In Francia, in particolare, prosegue il lavoro della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (Ciase) presieduta da Jean-Marc Sauvé, vicepresidente onorario del Consiglio di Stato. Voluto dalla Conferenza episcopale francese, l’organismo è una prova particolarmente tangibile di quel bisogno di “voltare pagina” al quale, da pastore, non si è voluto sottrarre il cardinale Barbarin, volendo dare fino all’ultimo l’esempio.

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