martedì 26 settembre 2023
Alle origini della vocazione c’è anche l’amore per l’arte che lo portò, giovane, a dipingere e a iscriversi all’Accademia di Brera, presto lasciata. Un convegno e un libro
Don Lorenzo Milani con i suoi ragazzi nella scuola di Barbiana

Don Lorenzo Milani con i suoi ragazzi nella scuola di Barbiana - Archivio

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Si può “dare la colpa” di una vocazione? Don Lorenzo Milani l’ha fatto e ha dato la “colpa” della sua vocazione al sacerdozio non a una chiamata mistica o misteriosa, non a un evento tragico o felice di cui è stato protagonista, non a un prete santo che ha incrociato sulla sua strada. Niente di tutto questo. La “felice colpa” è di un pittore, Hans-Joachim Staude, il maestro da cui Lorenzo, diciannovenne, si recava a lezione nell’estate del 1941.

Scrive Milani a Staude: «È tutta colpa tua! Tu hai parlato di cercare sempre l’essenziale, di semplificare, di eliminare i dettagli, di vedere le cose nella loro unità dove ogni parte dipende dall’altra. I rapporti non li voglio più cercare soltanto fra i colori, ma fra le persone nel mondo e nella mia vita, nel rapporto fra me e il mondo». In queste parole c’è tutta la vocazione di don Lorenzo, il desiderio di portare Cristo tra la gente, di ricercare l’unità andando alle sorgenti dell’Annuncio, di mostrare come la bellezza e la verità possano trovare casa anche nella parte più sperduta dell’Appennino.

In fondo don Milani offre semplicemente la sua vita perché il mistero della Salvezza torni a compiersi in lui: come il Signore ha scelto il più piccolo dei popoli per farne il suo popolo, così questo figlio di una ricca famiglia, e di una madre di origini ebraiche, si fa povero e fa della poverissima e incolta gente di Barbiana, a partire dai bambini e dai ragazzi, il popolo dei salvati, salvati da una Parola che si incarna nella bellezza del vero, del bene, del giusto.

Scrive Angela Terzani Staude, figlia del maestro: «In pittura, diceva mio padre a Lorenzo, non puoi fare di testa tua. Devi sottometterti ai rapporti di interdipendenza che osservi in natura e che nell’arte figurativa regolano i rapporti fra le forme e fra i colori, alle leggi che i pittori di tutti i tempi hanno cercato di sviscerare e che nel corso di una lunghissima staffetta si sono tramandati fra di loro fino a Cezanne… Fu forse durante quelle lezioni che Lorenzo Milani cominciò a prendere nota dell’esistenza di leggi universali che sovrastano l’uomo e alle quali all’uomo non resta che sottomettersi. Perché non era solo un giovane eminentemente intelligente, era anche un giovane in cerca di una causa».

L’esperienza artistica di Lorenzo Milani dura poco, nel 1941 si iscrive all’Accademia di Brera, ma nel 1942 la lascia. Dice il professore Cesare Badini, co-curatore della mostra e del catalogo “Don Lorenzo Milani e la pittura” (Palazzo Medici Ricciardi, Firenze 2013): «La pittura per Lorenzo è stata solo una fase transitoria di cui forse lui stesso si ricorderà qualche decennio dopo, quando nel 1967 scrive, con i suoi scolari di Barbiana, Lettera a una professoressa: “Essere dilettanti in tutto ed essere specialisti solo nell’arte del parlare”».

Ma se per Lorenzo l’essere pittore si risolve in un’esperienza di pochi mesi, l’orizzonte della bellezza l’aveva negli occhi e nel cuore fin dalla tenera infanzia.

«È cresciuto – continua Badini – dove l’arte era di casa: il nonno Luigi Adriano Milani era un famoso archeologo, numismatico e filologo, collezionista di opere d’arte antica e rinascimentale. Alla sua morte viene donato al Museo archeologico di Firenze uno dei capolavori della sua collezione: una scultura greca denominata Apollo Milani. A loro volta i genitori avevano intensi rapporti con gli artisti contemporanei e con l’élite culturale». Se la pittura è una breve fase della vita di Lorenzo Milani, la Parola di cui il giovane si innamora non può non esprimere anche la Bellezza che dell’Essere è il volto più autentico.

Scrive il cardinale di Firenze Giuseppe Betori su “Luoghi dell’Infinito” dello scorso luglio: «Nella storia del giovane Lorenzo apprendista pittore ci sono due episodi che indirizzeranno la sua vita su una strada diversa: un giorno, mentre gironzola per le vie di Firenze in cerca di uno scorcio da dipingere in un quartiere popolare, tira fuori il pane per la merenda e una donna affacciata alla finestra lo rimprovera: “Non si mangia il pane bianco nelle strade dei poveri!”.

E poi il secondo, quando, lasciata Brera, nell’estate del 1942 Lorenzo torna a villa “Gigliola”, la villa di famiglia a Montespertoli, e, in una cappellina che ha deciso di affrescare, trova un vecchio messale e ne rimane folgorato: “Ho letto il rito della Messa. Ma sai che è più interessante dei Sei personaggi in cerca d’autore?”, scriverà all’amico Oreste del Buono, ex compagno del liceo Berchet di Milano». Lettera che firma goliardicamente “Lorenzino dio e pittore”.

Eppure qualcosa è profondamente cambiato nel cuore del giovane Milani, come sottolinea il cardinale Betori: «Di lì a poco incontra don Raffaele Bensi, che diventa il suo padre spirituale, entra in Seminario nel 1943 e nel 1947 viene ordinato sacerdote […] Nella scuola di Barbiana, come in un convento benedettino, il vissuto artistico di don Lorenzo diviene strumento educativo per i suoi ragazzi, poveri soprattutto di conoscenza. Organizza lezioni e un laboratorio di pittura che, scrive alla mamma, “pare d’essere all’Accademia”. E nello stile dell’apprendimento basato sulle tre fasi dello scopro-approfondisco-realizzo don Lorenzo invita a Barbiana pittori, ma anche architetti, musicisti e fotografi di fama».

Per ogni apostolo del Signore c’è una via di Damasco. Quella di Lorenzo Milani è stata la sorprendente via dell’arte, la via della Bellezza che riempie lo sguardo e cambia i cuori.

Un convegno e un libro a cento anni dalla nascita​

Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, David Turoldo profeti, allora e più spesso inascoltati, ancora oggi, più che mai, necessari: “i folli di Dio”. Come ricordarne l’attualità degli insegnamenti, nel deserto contemporaneo? A cent’anni dalla nascita il giornalista Mario Lancisi ricostruisce la vita e l’opera del priore di Barbiana nella biografia “Don Milani. Vita di un profeta disobbediente”, (Edizioni Terra Santa), che sarà il fulcro di un convegno (nato da un’idea di Benito Boschetto e Giuseppe Melzi) che si terrà oggi a Milano nel Palazzo Reale dalle 10.

Poiché don Milani ha avuto la formazione scolastica in città (liceo allo Zaccaria e al Berchet e poi Accademia di Brera), non è stato difficile coinvolgere gli amministratori comunali; in particolare il sindaco Giuseppe Sala, l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi e la consigliera Diana De Marchi.

Per l’arcivescovo Mario Delpini, impegnato a Roma al Consiglio permanente della Cei interverrà monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale nonché studioso di don Milani. Undici relatori (Ermes Ronchi, Giuseppe Bettoni; Aldo Bonomi, Piercamillo Davigo, Paolo Fallai, Francesco Maisto, Gad Lerner, Ivo Lizzola, Andrea Dall’Asta, Giovanni Gazzaneo) svilupperanno i quattro temi essenziali dell’insegnamento del priore di Barbiana: la riforma della Chiesa e della scuola; la libertà di coscienza e la bellezza, come valori assoluti, trascendenti.

Quattro testimoni (Virginio Colmegna, Pietro Ichino, Angelo Gaccione e Paolo Landi) precederanno la proiezione delle uniche riprese cinematografiche, autorizzate in vita da don Milani, riprodotte nel film postumo “Barbiana ‘65” dei registi D’Alessandro (padre e figlio) presentato al 74° Festival di Venezia, inedito per la Città di Milano e concesso da Felix Film srl.


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