Sui patti prematrimoniali la Cassazione non convince
Il matrimonio non è solo contratto, ma è una scelta d'amore, dono reciproco che arricchisce oltre alla coppia l'intera comunità. Non viene stipulato per ricevere beni, ma per offrirli

La recente pronuncia della Corte di Cassazione, favorevole a un’apertura verso i patti prematrimoniali, segna un possibile cambio di rotta nella disciplina dei rapporti familiari. Questa svolta impone una riflessione critica sulla compatibilità tra contratti in generale (per cui questi accordi anticipatori sono senz’altro leciti) e il matrimonio. Il matrimonio, in termini tecnici, è un negozio giuridico, ossia un atto di volontà di due soggetti dal quale derivano effetti giuridici. Non è, però, un contratto in senso proprio, perché non nasce per realizzare un interesse patrimoniale, ma per fondare una comunione di vita, basata sul dono di sé all’altro coniuge. È, forse, l’unico negozio in cui una persona si impegna a servire l’altra gratuitamente, in una logica di reciprocità e gratuità che non si ritrova in alcun altro rapporto giuridico.
Questa gratuità, però, non equivale a irrilevanza economica. Il matrimonio ha, inevitabilmente, una dimensione patrimoniale ma non si stipula un matrimonio senza accettare di investire e rischiare su un progetto di vita comune. Il vincolo coniugale è un munus, un compito reciproco: il donum non impoverisce, perché è destinato a una comunità, la famiglia, di cui il donante stesso fa parte. È in questa prospettiva che i patti prematrimoniali sollevano dubbi di compatibilità. La famiglia, per sua natura, è generativa e aperta a sviluppi imprevedibili, dal numero di figli alle malattie, mentre le clausole contrattuali, proprio perché fissate ex ante, definiscono condizioni, limiti e possibili cause di cessazione degli obblighi.
Introdurre nel matrimonio un simile schema significa trasformarlo in un rapporto condizionato, in cui l’impegno di donarsi non è pieno ma subordinato a parametri giuridici di convenienza. Il paragone con la donazione è illuminante: nella donazione, il donante si impoverisce a favore del donatario; nel matrimonio, invece, il dono arricchisce una comunità di cui il donante stesso è parte. Per questo le prestazioni matrimoniali non possono essere oggetto di coercizione o modulazione contrattuale preventiva: non esiste un modello astratto di famiglia a cui legare obblighi patrimoniali ex ante. In definitiva, il matrimonio non è stipulato per ricevere beni o servizi, ma per offrirli; non è finalizzato a durare fino a quando conviene, ma “finché morte non ci separi”. Introdurre logiche contrattuali preventive significa alterarne la natura, riducendolo a un accordo di reciproca assistenza e cura, privandolo della sua essenza di dono e di impegno senza condizioni.
Presidente Forum delle Associazioni Familiari
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