Sono forse terroristi i bambini? Perché non c'è pace senza giustizia
di Bruno Forte
Le scelte di Netanyahu stanno suscitando una riprovazione sempre più ampia. Eppure proprio il cammino comune di questi anni ci fa ancora sperare che il popolo ebraico possa essere luce per le nazioni

Da anni sono membro della Commissione mista fra la Chiesa Cattolica e il Gran Rabbinato d’Israele, nella quale abbiamo condiviso importanti cammini di riflessione dinanzi alle sfide dei tempi non facili che ci è stato dato di vivere. Mai, però, il clima del mondo globalizzato è stato attraversato da tanti rigurgiti antisemiti, fra le cui cause può riconoscersi anche la politica israeliana di sistematica distruzione della Striscia di Gaza e dei suoi abitanti in risposta all’orribile attentato di Hamas del 7 ottobre 2023. Le scelte del primo ministro Benjamin Netanyahu e del suo governo sono andate suscitando una riprovazione sempre più ampia, delineatasi pressoché dovunque, a cominciare dalla stessa opinione pubblica israeliana e dalle proteste dei parenti degli ostaggi catturati nel barbaro attacco terroristico. Risulta perciò tanto più attuale richiamare alcune riflessioni contenute nella Dichiarazione Tra Gerusalemme e Roma, importante espressione dell’ebraismo ortodosso circa le relazioni tra ebraismo e cristianesimo, elaborata nel contesto del cinquantesimo anniversario della dichiarazione “Nostra Aetate” del Concilio Vaticano II, il testo che ha cambiato in profondità l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso le altre religioni del mondo e in particolare verso l’ebraismo (cf. n. 4). La Dichiarazione, adottata nel marzo 2016 dalla Conferenza dei Rabbini europei e dal Comitato esecutivo del Consiglio rabbinico d’America, fu anche presentata a papa Francesco il 31 agosto 2017 da una delegazione delle tre principali istituzioni rabbiniche internazionali, la Conferenza dei Rabbini europei, il Rabbinato centrale d’Israele, il Consiglio rabbinico d’America.
Con buone ragioni il testo è stato definito di portata storica: per la prima volta il Rabbinato ortodosso internazionale ha dato una valutazione unitaria del dialogo con la Chiesa cattolica, in riferimento non solo alla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, ma anche allo sviluppo delle relazioni con il mondo ebraico che il documento del Vaticano II ha avviato. Afferma il testo: «Nonostante le inconciliabili differenze teologiche, noi ebrei consideriamo i cattolici come nostri partner, stretti alleati, amici, fratelli nella comune ricerca di un mondo migliore che sia benedetto dalla pace, dalla giustizia sociale e dalla sicurezza».
Colpisce in particolare nel testo il richiamo della pace come autentica benedizione, da cercare e accogliere con tutto l’impegno della parola e della vita. In uno dei suoi punti chiave la Dichiarazione ricorda l’ora buia, definita da Giovanni Paolo II del «male assoluto», «quando sei milioni di nostri fratelli sono stati brutalmente assassinati e le braci delle loro ossa si sono spente nelle ombre dei crematori nazisti».
La condanna della efferata violenza nazista è senza sconti e si congiunge alla costatazione che proprio allora «il patto eterno di Dio si è manifestato ancora una volta: il resto di Israele ha raccolto le sue forze e ha prodotto un risveglio miracoloso della coscienza ebraica».
In questo contesto di rinascita sono emersi più chiaramente i due obblighi del popolo ebraico verso l’umanità intera: «essere luce per le nazioni» (Isaia 49,6) e «assicurare il proprio futuro, nonostante l’odio e la violenza del mondo».
A riprova di questo duplice compito, la Dichiarazione ricorda come «la nazione ebraica abbia lasciato in eredità all’umanità molte benedizioni, sia nel campo delle scienze, della cultura, della filosofia, della letteratura, della tecnologia e del commercio, così come nel campo della fede, della spiritualità, dell’etica e della moralità».
Appare evidente come una tale consapevolezza non possa accordarsi con quanto l’apparato militare d’Israele sta facendo a Gaza, dove contro ogni evidenza della legge morale stabilita dall’Eterno nelle “dieci parole”, si va perpetrando la quotidiana uccisione di bambini, donne, anziani e civili innocenti, in nome di una punizione esemplare da dare ad Hamas, che fra quella gente si nasconde. Se è chiaramente motivata la diffusa reazione del popolo palestinese della Striscia contro l’organizzazione terroristica che vigliaccamente ha prodotto l’inizio della tragedia, non di meno appare deprecabile una simile risposta senza quartiere e senza distinzione di destinatari: sono forse terroristi i tantissimi bambini, vecchi e adulti estranei a ogni azione terroristica, uomini e donne come tanti, che sono compresi fra gli oltre cinquantamila morti provocati dalle azioni dell’esercito israeliano? Invocare la ricerca sincera della pace nel rispetto del valore di ogni persona umana, come sta facendo con vigore e costanza Papa Leone XIV in questi giorni, è il contributo più vero e onesto che si possa dare alla causa dell’ebraismo, oggi come nel futuro. È più che doveroso, allora, ribadire la condanna di questa risposta militare senza limiti etici e senza quartiere e fare nostro l’auspicio finale della Dichiarazione citata, che evoca la voce dei profeti biblici: «Cerchiamo di trovare modi che ci permettano, insieme, di migliorare il mondo: per camminare sulle vie di Dio, nutrire gli affamati e vestire gli ignudi, dare gioia a vedove e orfani, rifugio ai perseguitati e agli oppressi, e quindi meritare le Sue benedizioni». Quando ebrei e palestinesi potranno agire insieme in questa direzione? Quando il progetto di due popoli-due Stati in pace e collaborazione potrà non apparire utopico e cominciare a diventare realtà? Le scelte dell’attuale governo d’Israele sembrano drammaticamente andare in tutt’altra direzione.
Con buone ragioni il testo è stato definito di portata storica: per la prima volta il Rabbinato ortodosso internazionale ha dato una valutazione unitaria del dialogo con la Chiesa cattolica, in riferimento non solo alla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, ma anche allo sviluppo delle relazioni con il mondo ebraico che il documento del Vaticano II ha avviato. Afferma il testo: «Nonostante le inconciliabili differenze teologiche, noi ebrei consideriamo i cattolici come nostri partner, stretti alleati, amici, fratelli nella comune ricerca di un mondo migliore che sia benedetto dalla pace, dalla giustizia sociale e dalla sicurezza».
Colpisce in particolare nel testo il richiamo della pace come autentica benedizione, da cercare e accogliere con tutto l’impegno della parola e della vita. In uno dei suoi punti chiave la Dichiarazione ricorda l’ora buia, definita da Giovanni Paolo II del «male assoluto», «quando sei milioni di nostri fratelli sono stati brutalmente assassinati e le braci delle loro ossa si sono spente nelle ombre dei crematori nazisti».
La condanna della efferata violenza nazista è senza sconti e si congiunge alla costatazione che proprio allora «il patto eterno di Dio si è manifestato ancora una volta: il resto di Israele ha raccolto le sue forze e ha prodotto un risveglio miracoloso della coscienza ebraica».
In questo contesto di rinascita sono emersi più chiaramente i due obblighi del popolo ebraico verso l’umanità intera: «essere luce per le nazioni» (Isaia 49,6) e «assicurare il proprio futuro, nonostante l’odio e la violenza del mondo».
A riprova di questo duplice compito, la Dichiarazione ricorda come «la nazione ebraica abbia lasciato in eredità all’umanità molte benedizioni, sia nel campo delle scienze, della cultura, della filosofia, della letteratura, della tecnologia e del commercio, così come nel campo della fede, della spiritualità, dell’etica e della moralità».
Appare evidente come una tale consapevolezza non possa accordarsi con quanto l’apparato militare d’Israele sta facendo a Gaza, dove contro ogni evidenza della legge morale stabilita dall’Eterno nelle “dieci parole”, si va perpetrando la quotidiana uccisione di bambini, donne, anziani e civili innocenti, in nome di una punizione esemplare da dare ad Hamas, che fra quella gente si nasconde. Se è chiaramente motivata la diffusa reazione del popolo palestinese della Striscia contro l’organizzazione terroristica che vigliaccamente ha prodotto l’inizio della tragedia, non di meno appare deprecabile una simile risposta senza quartiere e senza distinzione di destinatari: sono forse terroristi i tantissimi bambini, vecchi e adulti estranei a ogni azione terroristica, uomini e donne come tanti, che sono compresi fra gli oltre cinquantamila morti provocati dalle azioni dell’esercito israeliano? Invocare la ricerca sincera della pace nel rispetto del valore di ogni persona umana, come sta facendo con vigore e costanza Papa Leone XIV in questi giorni, è il contributo più vero e onesto che si possa dare alla causa dell’ebraismo, oggi come nel futuro. È più che doveroso, allora, ribadire la condanna di questa risposta militare senza limiti etici e senza quartiere e fare nostro l’auspicio finale della Dichiarazione citata, che evoca la voce dei profeti biblici: «Cerchiamo di trovare modi che ci permettano, insieme, di migliorare il mondo: per camminare sulle vie di Dio, nutrire gli affamati e vestire gli ignudi, dare gioia a vedove e orfani, rifugio ai perseguitati e agli oppressi, e quindi meritare le Sue benedizioni». Quando ebrei e palestinesi potranno agire insieme in questa direzione? Quando il progetto di due popoli-due Stati in pace e collaborazione potrà non apparire utopico e cominciare a diventare realtà? Le scelte dell’attuale governo d’Israele sembrano drammaticamente andare in tutt’altra direzione.
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