Sarte, ricamatrici, fornaie: così le afghane resistono alla segregazione

Tra le restrizioni imposte dai taleban i progetti sostenuti dalla Fondazione Pangea. E con il terremoto priorità alla distribuzione di kit igienici, coperte e alimenti
September 28, 2025
Sarte, ricamatrici, fornaie: così le afghane resistono alla segregazione
. | Beneficiarie del progetto di microcredito di Pangea all'incontro settimanale
C’è una donna rimasta vedova che ha avviato da zero una sartoria in casa e grazie a questa oggi riesce a mantenere i suoi quattro figli e a insegnare il mestiere – sempre tra le mura domestiche – a una decina di ragazze tra i 16 e i 25 anni. Un’altra che, sfornando pane per la vendita, ha potuto garantire a sé e alla famiglia almeno un pasto al giorno, così come è stato per la ricamatrice che da un po’ di tempo realizza dei piccoli fiori per adornare i tessuti dell’hijab. Tutte e tre affidano poi i prodotti della propria fatica a qualche uomo della famiglia o a un conoscente che può venderli nei mercati e altrove.
Tutte e tre sono donne afghane in un Paese che ha tolto loro quasi ogni diritto all’esistenza, ma che nonostante tutto sono ancora in piedi. A raccontarci piccoli stralci delle loro storie è Silvia Redigolo, responsabile della raccolta fondi e della comunicazione di Fondazione Pangea Ets. In questi giorni Redigolo si trova in Afghanistan per monitorare i progetti in corso e adattarli ai bisogni della popolazione. «Guardando i fiori ricamati sull’hijab – confessa – ho pensato che quei fili intrecciati sono il simbolo concreto della resistenza di queste donne. Perché loro resistono, anche se nel silenzio».
Beneficiarie del progetto di microcredito di Pangea all'incontro settimanale - .
Beneficiarie del progetto di microcredito di Pangea all'incontro settimanale - .
Pangea, spiega ancora la responsabile, opera in diverse zone del Paese da circa un ventennio, ma negli ultimi anni, dopo l’arrivo al potere dei taleban, ha dovuto aumentare le cautele: «Di comune accordo con le donne che già aiutavamo con il microcredito, abbiamo deciso di affidare i nuovi crediti alle famiglie anziché a loro, in modo da adeguarci. Al momento sono circa 200 i nuclei che beneficiano del piccolo credito, che possono usare per avviare l’attività o ingrandirla. Aiutiamo soprattutto nuclei con tanti figli, famiglie con vedove o donne che hanno mariti con disabilità. Quando le persone nel progetto arrivano all’incontro settimanale previsto vedi sempre i loro volti preoccupati, ma dopo un’ora insieme escono sorridenti, perché questo supporto ridà loro speranza».
Tra le attività di Pangea ci sono poi le scuole per bambine e bambini sordi, dislocate in diverse provincie: «Queste scuole sono aperte pure alle ragazze con disabilità e alle loro famiglie, che stiamo cominciando ad aiutare anche con il microcredito e con corsi di formazione per imparare dei mestieri». Nonostante le difficoltà, appunto, le persone continuano a rivendicare il loro diritto a esistere. Seppur “nel silenzio”, i loro sguardi urlano e i loro sogni sono nitidi. «Quando entro nelle classi e chiedo a bambini e bambine che cosa sognano di fare da grandi hanno tutti le idee chiare. “Voglio fare l’insegnante”, “la pittrice”, “l’avvocata”, “voglio lavorare” o “voglio andare all’università e fare l’ingegnere”», aggiunge Redigolo. Ma nella situazione attuale è difficile vedere un orizzonte: «Solo qualche giorno fa, i taleban hanno abbattuto dei ripetitori per rallentare le connessioni e impedire così a bambine e ragazze di continuare a studiare online. Quei pochi diritti che sono rimasti si sgretolano ogni giorno».
Una beneficiaria del progetto di microcredito di Pangea all'incontro settimanale - .
Una beneficiaria del progetto di microcredito di Pangea all'incontro settimanale - .
Alla crisi economica e alle restrizioni delle norme si è aggiunto infine il sisma. Pangea nell’ultimo periodo si è attivata per raggiungere anche le aree colpite con un intervento mirato. «Subito dopo il terremoto, abbiamo iniziato a lavorare con un’equipe afghana che comprende una coppia, marito e moglie entrambi medici, un’infermiera e un logista. Insieme stanno soccorrendo soprattutto le donne rimaste ferite, quelle incinte o che hanno appena partorito. Sottolineo che durante il terremoto le donne sole non potevano uscire di casa neppure se stava crollando, non potevano essere estratte dalle macerie e soccorse se accanto a loro non c’era un uomo che autorizzava», spiega.
Oltre alle cure la Fondazione, in queste zone vicine al confine con il Pakistan, sta distribuendo kit igienico-sanitari, assorbenti lavabili, medicinali e altri generi di prima necessità: «Diamo pure le coperte perché tra qualche settimana lì la temperatura scenderà sotto zero».
Quello nelle aree terremotate è un progetto di emergenza ancora in progress, «creato da zero in poche notti per rispondere al bisogno urgente di assistenza alle donne». Ma tutto si tiene insieme ed è sempre pronto a evolversi nella missione ingaggiata da Pangea. «Nel 2021 abbiamo promesso alle famiglie che assistevamo e alle donne che non le avremmo lasciate sole, che non avremmo dimenticato il Paese – conclude –. È una promessa che cerchiamo di mantenere ogni giorno, ma ovviamente non è semplice perché queste restrizioni colpiscono anche il nostro lavoro. Bisogna sempre riorganizzare velocemente il progetto, riadattarlo. La cosa più importante per noi è tutelare loro, non fermarsi».

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