Sarte, ricamatrici, fornaie: così le afghane resistono alla segregazione
Tra le restrizioni imposte dai taleban i progetti sostenuti dalla Fondazione Pangea. E con il terremoto priorità alla distribuzione di kit igienici, coperte e alimenti

C’è una donna rimasta vedova che ha avviato da zero una sartoria in casa e grazie a questa oggi riesce a mantenere i suoi quattro figli e a insegnare il mestiere – sempre tra le mura domestiche – a una decina di ragazze tra i 16 e i 25 anni. Un’altra che, sfornando pane per la vendita, ha potuto garantire a sé e alla famiglia almeno un pasto al giorno, così come è stato per la ricamatrice che da un po’ di tempo realizza dei piccoli fiori per adornare i tessuti dell’hijab. Tutte e tre affidano poi i prodotti della propria fatica a qualche uomo della famiglia o a un conoscente che può venderli nei mercati e altrove.
Tutte e tre sono donne afghane in un Paese che ha tolto loro quasi ogni diritto all’esistenza, ma che nonostante tutto sono ancora in piedi. A raccontarci piccoli stralci delle loro storie è Silvia Redigolo, responsabile della raccolta fondi e della comunicazione di Fondazione Pangea Ets. In questi giorni Redigolo si trova in Afghanistan per monitorare i progetti in corso e adattarli ai bisogni della popolazione. «Guardando i fiori ricamati sull’hijab – confessa – ho pensato che quei fili intrecciati sono il simbolo concreto della resistenza di queste donne. Perché loro resistono, anche se nel silenzio».

Pangea, spiega ancora la responsabile, opera in diverse zone del Paese da circa un ventennio, ma negli ultimi anni, dopo l’arrivo al potere dei taleban, ha dovuto aumentare le cautele: «Di comune accordo con le donne che già aiutavamo con il microcredito, abbiamo deciso di affidare i nuovi crediti alle famiglie anziché a loro, in modo da adeguarci. Al momento sono circa 200 i nuclei che beneficiano del piccolo credito, che possono usare per avviare l’attività o ingrandirla. Aiutiamo soprattutto nuclei con tanti figli, famiglie con vedove o donne che hanno mariti con disabilità. Quando le persone nel progetto arrivano all’incontro settimanale previsto vedi sempre i loro volti preoccupati, ma dopo un’ora insieme escono sorridenti, perché questo supporto ridà loro speranza».
Tra le attività di Pangea ci sono poi le scuole per bambine e bambini sordi, dislocate in diverse provincie: «Queste scuole sono aperte pure alle ragazze con disabilità e alle loro famiglie, che stiamo cominciando ad aiutare anche con il microcredito e con corsi di formazione per imparare dei mestieri». Nonostante le difficoltà, appunto, le persone continuano a rivendicare il loro diritto a esistere. Seppur “nel silenzio”, i loro sguardi urlano e i loro sogni sono nitidi. «Quando entro nelle classi e chiedo a bambini e bambine che cosa sognano di fare da grandi hanno tutti le idee chiare. “Voglio fare l’insegnante”, “la pittrice”, “l’avvocata”, “voglio lavorare” o “voglio andare all’università e fare l’ingegnere”», aggiunge Redigolo. Ma nella situazione attuale è difficile vedere un orizzonte: «Solo qualche giorno fa, i taleban hanno abbattuto dei ripetitori per rallentare le connessioni e impedire così a bambine e ragazze di continuare a studiare online. Quei pochi diritti che sono rimasti si sgretolano ogni giorno».

Alla crisi economica e alle restrizioni delle norme si è aggiunto infine il sisma. Pangea nell’ultimo periodo si è attivata per raggiungere anche le aree colpite con un intervento mirato. «Subito dopo il terremoto, abbiamo iniziato a lavorare con un’equipe afghana che comprende una coppia, marito e moglie entrambi medici, un’infermiera e un logista. Insieme stanno soccorrendo soprattutto le donne rimaste ferite, quelle incinte o che hanno appena partorito. Sottolineo che durante il terremoto le donne sole non potevano uscire di casa neppure se stava crollando, non potevano essere estratte dalle macerie e soccorse se accanto a loro non c’era un uomo che autorizzava», spiega.
Oltre alle cure la Fondazione, in queste zone vicine al confine con il Pakistan, sta distribuendo kit igienico-sanitari, assorbenti lavabili, medicinali e altri generi di prima necessità: «Diamo pure le coperte perché tra qualche settimana lì la temperatura scenderà sotto zero».
Quello nelle aree terremotate è un progetto di emergenza ancora in progress, «creato da zero in poche notti per rispondere al bisogno urgente di assistenza alle donne». Ma tutto si tiene insieme ed è sempre pronto a evolversi nella missione ingaggiata da Pangea. «Nel 2021 abbiamo promesso alle famiglie che assistevamo e alle donne che non le avremmo lasciate sole, che non avremmo dimenticato il Paese – conclude –. È una promessa che cerchiamo di mantenere ogni giorno, ma ovviamente non è semplice perché queste restrizioni colpiscono anche il nostro lavoro. Bisogna sempre riorganizzare velocemente il progetto, riadattarlo. La cosa più importante per noi è tutelare loro, non fermarsi».
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