sabato 21 gennaio 2023
Gallagher, segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati: «Non è il momento opportuno per la visita del Pontefice in Ucraina. La difesa sia proporzionata»
Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Gallagher

Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Gallagher

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«Non possiamo permetterci una assuefazione alla guerra, non possiamo rassegnarci al fatto che le spese militari abbiano raggiunto il loro record nel pieno di una crisi economica generata dalla pandemia». L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, rinnova all’approssimarsi della tragica ricorrenza di un anno dall’inizio del conflitto ucraino l’incessante appello della Chiesa a fare di tutto perché si affermi “La profezia per la Pace”. Proprio questo è il tema dell’incontro organizzato dal centro internazionale di Comunione e Liberazione (diretto da don Andrea D’Auria, che ha introdotto) presso l’aula magna della Pontificia università Urbaniana. Il titolo trae spunto dall’appello finale di papa Francesco («che per ora non andrà a Kiev, non è il momento opportuno», ha detto Gallagher, parlando a margine con i giornalisti e confermando che «l’Ucraina ha il diritto di difendersi, ma deve essere una difesa proporzionata. Nessuno vuole un inasprimento del conflitto») nel suo intervento all’udienza concessa a Cl per il centenario del fondatore del movimento, don Luigi Giussani, lo scorso 15 ottobre.

«Non possiamo rassegnarci al fatto che la guerra in Ucraina continui per lungo tempo e, anche se al momento non sembra esserci una base per eventuali negoziati, bisogna mantenere vivo l’ideale della pace e l’idea che questa guerra finirà, anche se non sarà la fine immaginata da Zelensky o da Putin», aveva detto Gallagher, intervenendo in mattinata a un altro incontro promosso dalla rete delle cattedre Unesco italiane a palazzo Altemps. «Ma una pace deve venire e per far questo, se necessario, bisogna cominciare anche a pensare l’impensabile». Sviluppo, solidarietà, giustizia, fratellanza umana, ecologia, integrale. Gallagher sottolinea come nell’invocare la pace, «tutto è inevitabilmente connesso, come ci ha insegnato il Papa con la Fratelli tutti». E questo impone di denunciare come un «grande scandalo », il fatto che «nel 2021 le spese per gli armamenti abbiano raggiunto la cifra record di 2mila miliardi di dollari, il doppio del 2000, di più che ai tempi della guerra fredda, e questo – rimarca – a fronte della contrazione del 3,1% dell’economia mondiale in epoca di pandemia».

Un approccio «globale e integrale» al tema della pace al quale si riallaccia anche Marco Tarquinio, che ricorda, come Gallagher, anche i tanti conflitti ora finiti nel dimenticatoio, a partire dalla Siria e dal Daesh, fra i più lunghi e cruenti, ma lontani dai riflettori, da circa un anno, da quando cioè la minaccia si è portata nel cuore dell’Europa. «In realtà è di 9 anni», sottolinea il direttore di Avvenire, il reale protrarsi del conflitto ucraino, a fronte di una Europa che non riesce ad agire da promotrice della pace. Tarquinio ricorda i cattolici fondatatori dell’Ue, Schumann, Adenauer e De Gasperi, «che seppero convertire l’unica lingua tedesca dalla guerra alla pace». Di fronte a questo scenario sconfortante «unica voce alta e convincente», è quella del Papa, prosegue Tarquinio, «fra tanti che si credono vincenti» Servirebbero «milioni di uomini disarmati», un sogno da portare avanti insieme, perché «i figli di Dio non possono aver paura di porre gesti diversi da quelli della guerra». Mentre è uno «scandalo» inaccettabile anche per Tarquinio che le spese militari siano cresciute più di quelle sanitarie con l’emergenza Covid. «Basterebbe il 10% delle spese militari per vincere la fame», rimarca.

Davide Prosperi, presidente della fraternità di Cl si dice colpito dalle parole del Papa che «spaventato» dalla guerra, «dall’uomo che calpesta l’altro uomo». Ma «come si fa a uscire da questa logica di morte?», si chiede Prosperi. Il richiamo del Papa riporta alla mente le parole di don Giussani all’indomani della strage di Nassiryia che indicava la strada della «educazione di un popolo». Prosperi evoca l’immagine del direttore d’orchestra ungherese Ferenc Fricsay alle prese con le prove della registrazione della Moldava, e la sua irriducibile volontà di vivere, già segnato dal male, che porta a dar vita a una sinfonia che è un crescendo impensabile di speranza corale. Ma non vi può essere vera pace senza giustizia, concorda Prosperi, richiamando il volantino di Cl, e senza tenere insieme i tanti pezzi della guerra mondiale, di cui parla il Papa, compreso il conflitto in Azerbaigian, fra i più trascurati dai media, e la strage dei cristiani perseguitati. «L’altro è un bene per me, l’unica posizione ragionevole è quella della Chiesa, ma forse non crediamo abbastanza a quel che dice il Papa», continua Prosperi. «Occorre cercare la pace anche quando nessuno la vuole. Aiutare i profughi. Costruire con pazienza giorno dopo giorno luoghi di educazione e speranza. Può sembrare inutile, ma è l’unica strada possibile, se solo pensiamo alla testimonianza di Giovanni Paolo II che ha condotto al superamento del regime sovietico. Come insegna il Papa l’unico antidoto al pregiudizio e al conflitto, sono l’educazione e le opere. Ognuno porti il suo mattone», dice ricordando in particolare alcune opere portate avanti da Avsi, l’associazione di cooperazione internazionale promossa da Cl, e l’Aiuto alla Chiesa che soffre. Testimonianze concrete per seguire l’indicazione «profetica e realistica» del Papa. Come chiedeva anche don Giussani: «Alimentare la speranza in forza di una certezza presente», che è Gesù. «il mistero della misericordia» oltre le brutte realtà della storia.

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