mercoledì 9 settembre 2009
Tragedia nella casa circondariale di Torre del Gallo. Il detenuto, un tunisino, ha rifiutato il cibo dal 2 luglio: quando è stato portato in ospedale era troppo tardi. Aperta un’inchiesta con l’ipotesi di omicidio colposo.
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Si è lasciato morire di fame, portando fino alle estreme conseguenze la sua ansia di gridare al mondo che mai avrebbe potuto macchiarsi del crimine per cui era stato condannato all’inizio dell’estate: atti di violenza contro un familiare. Sami M.S., tunisino quarantaduenne, era detenuto nella casa circondariale di Torre del Gallo a Pavia ormai da tempo per scontare una pena per spaccio di sostanze stupefacenti. Ma in fondo al tunnel stava cominciando a rivedere la luce: la pena era infatti prossima ad estinguersi e in meno di un anno Sami avrebbe riassaporato la libertà. A luglio però i suoi sogni di ricostruirsi una vita si erano infranti contro il muro di una nuova condanna, questa volta per violenza su un familiare. Otto anni di detenzione, un colpo durissimo che il tunisino si è rifiutato di accettare soprattutto perchè costituiva qualcosa che Sami sosteneva essere solo un’infamia. Prima ha gridato la sua innocenza a voce alta, poi la sua protesta si è fatta silenziosa ma determinata sotto forma di sciopero della fame. Dalla metà di luglio Sami ha cominciato a rifiutare il cibo e a bere solamente. E il suo estremo atto di ribellione alla condanna è proseguito fino al 2 settembre, giorno in cui, su ordinanza del magistrato di sorveglianza, il tunisino è stato trasportato d’urgenza al Pronto Soccorso del Policlinico San Matteo. Le sue condizioni però sono apparse subito molto critiche, perchè l’organismo si trovava in uno stato totale di debilitazione sia fisica che psicologica e il paziente è stato prima trasferito in Psichiatria e successivamente in Chirurgia; la situazione si è ulteriormente aggravata fino alla morte avvenuta all’alba di sabato 5 settembre. Grande il dolore, al diffondersi della notizia, anche tra i compagni della casa circondariale che nella serata di domenica e di lunedì hanno sonoramente manifestato la loro solidarietà battendo le loro stoviglie della cena contro le sbarre delle rispettive celle. Altre iniziative di protesta potrebbero essere imminenti: lamentele riguardano anche il sovraffollamento nella casa circondariale pavese, che oggi ospita 450 detenuti nonostante fosse stata costruita per uno standard di 300 carcerati.«Lo sciopero della fame è stato un’iniziativa del detenuto, che voleva protestare per una condanna ritenuta ingiusta -spiega il direttore della casa circondariale Jolanda Vitale- abbiamo rispettato la sua volontà, anche perchè ha sempre rifiutato ogni nostro intervento. Abbiamo solo potuto monitorarlo e tenerlo sotto osservazione. E neppure voleva andare in ospedale, è stata necessaria l’ordinanza del magistrato di sorveglianza». Ora toccherà alla magistratura, che ha aperto un’indagine con l’ipotesi di omicidio colposo, far luce sul fatto. Intanto anche il sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, si unisce al dolore dei familiari e non nasconde il suo rammarico: «Di fronte a episodi come questo resta solo tanta amarezza. Come sindaco mi sento in dovere di rilanciare il mio massimo impegno affinchè il carcere non sia solo esperienza punitiva ma anche luogo per trovare la forza di riscattarsi». Don Dario Crotti varca la soglia di Torre del Gallo sia nella veste di direttore della Caritas diocesana che di aiuto cappellano, al fianco di don Giuseppe Bossi. «Il mio primo pensiero ora va alla memoria di Sami e ai suoi familiari, poi a tutti i detenuti del carcere. Sono oltre quattrocento, una comunità ferita da questa tragedia e che adesso sta soffrendo molto. Credo che fatti come questo interpellino la Chiesa, la comunità cristiana e facciano capire quanto si tratti di una sconfitta per tutti perchè forse non siamo ancora sufficientemente attrezzati per affrontare la gravità di certe situazioni. Abbiamo il dovere di potenziare le iniziative di ascolto, di comprensione, di sostegno a favore dei detenuti perchè più volontari significherebbero probabilmente meno episodi di autolesionismo e meno gesti estremi come quello di Sami. Servirebbero a ridurre la frattura tra chi sta dentro e chi è fuori».
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