Al grido di “Aborto libero” e "Fuori Cl dall'università" hanno fermato l’incontro “Accogliere la vita. Storie di libere scelte”. Martedì pomeriggio, nella sede di via Celoria dell’Università degli Studi di Milano, la lista Clds -Obiettivo Studenti aveva organizzato un convegno pensato per raccontare le storie di alcune donne che, pur in situazioni di difficoltà economiche e sociali, hanno scelto di non abortire. Tra le relatrici ci sarebbe dovuta essere anche Soemia Sibillo, direttrice del Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli e vicepresidente del Movimento per la Vita. Nel momento in cui sarebbe toccato a lei prendere la parola, alcuni studenti del collettivo “Cambiare rotta”, insieme ad altre sigle, e a coloro che da settimane stanno occupando un edificio proprio in Città Studi, hanno interrotto la sessione con grida, striscioni, tamburelli, anche bestemmie. Già nel corso dell’introduzione, alcuni, fra il pubblico, hanno provato a disturbare i relatori, con finti colpi di tosse, risate e fischi. «Ma quale Stato, ma quale Dio, sul mio corpo decido io» uno degli slogan dei circa 50 manifestanti che hanno invaso l’aula, nonostante venisse fatto notare che l’oggetto dell’incontro non era l’accesso all’aborto, ma la volontà di raccontare alcune testimonianze. Ci sono stati momenti di tensione con gli organizzatori. Il collettivo ha versato dell’acqua sull’impianto elettrico, facendo così saltare corrente e riscaldamento e, di conseguenza, i microfoni. Dopo circa un’ora, i relatori hanno scelto di lasciare l’aula, così come i circa 300 studenti e studentesse che durante l'aggressione erano rimasti in silenzio. «Proveremo a riprogrammare l’incontro oppure a diffonderne per altri canali i contenuti. Quello che è certo – spiega uno degli studenti organizzatori – è che oggi non ci è stata data la libertà di parlare, quella libertà che hanno tanto rivendicato con i loro striscioni». «È inaccettabile che ci sia qualcuno che, in modo autoritario e violento, decida chi può esprimersi in università e chi no», si legge nel comunicato diffuso dal Coordinamento delle liste per il diritto allo studio (Clds). L'Università degli Studi, per parte sua, ha condannato il gesto, assieme «a ogni forma di violenze e intolleranza», assicurando l'impegno a fare chiarezza su quanto avvenuto. In serata, la ministra dell'Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, ha sentito telefonicamente la rettrice della Statale di Milano, Marina Brambilla, per un confronto su quanto accaduto. A quanto si apprende, la ministra e la rettrice hanno espresso ferma condanna per i fatti. La ministra ha inoltre offerto tutto il supporto necessario affinché l'Ateneo rimanga un libero luogo di confronto dove non possono trovare spazio violenze e prevaricazioni.
Sono stata invitata a parlare in un’aula universitaria. Non mi ero preparata discorsi. Non lo faccio quasi mai, perché quello che dico si riferisce sempre a vite vissute: porto le storie delle mamme che incontriamo ogni giorno al Cav Mangiagalli. E così avrei fatto anche martedì, nell’incontro su “Accogliere la vita. Storie di libere scelte”, in programma nella sede di via Celoria dell’Università degli Studi di Milano. Era pronto un video di una mamma che racconta una gravidanza difficile: una coppia arrivata in Italia da qualche mese, la diagnosi di una grave malformazione cardiaca del bambino che portava in grembo. Le era stato proposto un aborto terapeutico. Era arrivata da noi in lacrime. Quel bambino lo voleva. E così quella mamma, quel papà hanno detto il loro sì alla vita. Il loro bimbo dopo vari interventi chirurgici e terapie ora sta bene. Un bimbo che poteva non esserci oggi.
Martedì però non ho potuto far parlare questa mamma attraverso il video che avevo portato, non ho potuto fare ascoltare la sua testimonianza.
È questa la “libertà” che tanto invocate? Non far parlare? Non permettere che si realizzi un incontro organizzato da altri vostri coetanei? E proprio in aula universitaria che dovrebbe essere fucina di idee, confronti, cultura?
Mi dispiace che non abbiate voluto ascoltare storie di donne, spesso migranti, spesso lasciate sole, spesso in difficoltà economiche che hanno scelto liberamente la vita testimoniandolo loro stesse.
Al Cav Mangiagalli abbiamo imparato un principio fondamentale. L’ascolto. Noi operatori ogni giorno ascoltiamo difficoltà, timori, lacrime, problemi… in silenzio. Facciamo silenzio. È uno sforzo necessario per far tacere i nostri vissuti, per far tacere le tentazioni umane dei pregiudizi, commenti che potrebbero risultare inadeguati. Facciamo silenzio e ascoltiamo. E, in quello stare lì interamente per l’altro, si sperimenta davvero cosa sia l’accoglienza. E dopo aver ascoltato proponiamo un aiuto, un sostegno, tendiamo una mano.
Cari ragazzi, martedì vi ho ascoltato. In silenzio. Non ho commentato, né ho ribattuto. Non è timidezza. È esserci, anche per voi.
Noi al Cav Mangiagalli ci siamo. Non cerchiamo nessuno. Non ci appartengono le battaglie ideologiche. Non siamo dei combattenti. Da quarant’anni accogliamo e ascoltiamo. Non irrompiamo, non ci sovrapponiamo, non urliamo, non suoniamo tamburi e tamburelli.
A voi che martedì avete ridotto al silenzio me e le mamme chiedo: non cancellate la libertà di chiedere aiuto. Allo stesso modo di chi nelle acque di un mare gelido chiede un aiuto. Allo stesso modo di chi trovandosi ammalato magari in ospedale chiede un sostegno. Allo stesso modo di chi, per strada, impaurita, chiede un aiuto. La libertà di chiedere aiuto.
Sarebbe per me un grande dolore sentire: «Se avessi saputo che potevate aiutarmi avrei tenuto mio figlio». Non cancellate questa libertà. Un giorno potreste invocarla anche voi. E vi auguro che ci sia sempre qualcuno vicino a voi pronto ad aiutarvi per qualunque difficoltà.
Se volete essere veramente donne e uomini liberi, ascoltate, tutti, anche chi non la pensa come voi. Anche quella mamma che, sono certa, avrebbe fatto breccia nei vostri cuori. Una mamma e un papà orgogliosi del loro sì alla vita.
Direttrice del Centro di aiuto alla vita Mangiagalli di Milano