venerdì 3 settembre 2021
L'Ue aveva fornito microcamere ai natanti libici per monitorare gli interventi. Ad "Avvenire" Bruxelles assicura che i video non sono mai arrivati. Ma è cosi? Nuove rivelazioni sul ruolo dell'Italia
Il mistero dei filmati dalle motovedette che l’Ue ora nega di avere mai ricevuto

Sea Watch

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Doveva essere la principale rassicurazione: i filmati con tutti gli interventi della guardia costiera libica. Video che avrebbero dovuto confermare le capacità operative e il rispetto dei diritti umani. Senza quei riscontri l’Unione europea non avrebbe più finanziato l’addestramento dei guardacoste libici. Invece, «nessun file video è stato ricevuto dall'operazione Eunavformed Sophia».

Circa un mese fa "Avvenire" ha chiesto alla commissione Ue che fine avessero fatto le registrazioni video. «Nei sistemi di archiviazione del Seae (il Servizio europeo per l’azione esterna, ndr) e nei database di gestione dei documenti», viene ora spiegato «nessun documento corrispondente alla richiesta è stato trovato». E per tentare di sgombrare il campo da equivoci la lettera, firmata da uno dei capi divisione, si conclude con una avvertenza: «Si prega di notare che il Seae è stato informato che nessun file video è stato ricevuto dall'operazione Eunavformed Sophia».

Questa dichiarazione contrasta con altri documenti ufficiali di Bruxelles. Era il 2018 quando Federica Mogherini, allora “ministro degli esteri della Ue” a proposito dei libici aveva sostenuto che «la loro competenza professionale è aumentata, ma – scrisse rispondendo a un’europarlamentare britannica – non è ancora a un livello di autosufficienza». Le videocamere erano state recapitate. «La consegna delle “Go-Pro camera” è stata completata», precisava ancora Mogherini. Tuttavia, «la mancanza di una connessione internet affidabile ostacola la capacità della Guardia costiera e della Marina libica di caricare e condividere il materiale registrato». Nel giro di tre anni, ammesso che quella fosse una spiegazione credibile, si è passati dalla «mancanza di connessione» a un più netto «nessun file video è stato ricevuto». Ma è davvero così?

L’accordo del 2017, con il quale la Commissione Ue autorizzava l’addestramento dei guardacoste di Tripoli, prevedeva la formazione del personale libico anche all’uso di questi sistemi di ripresa. Originariamente si trattava di una condizione essenziale, per rassicurare l’Europarlamento riguardo alla vigilanza che gli uffici dell’Ue avrebbero mantenuto sulle forze marittime libiche. Le immagini delle motovedette raccolte in questi anni dai media e dalle Ong non consentono di confermare se davvero le minicamere siano ancora presenti a bordo. In ogni caso, sempre rispondendo all'interrogazione del 2018, l’allora alto rappresentante della politica estera Ue assicurava: «Le telecamere sono state installate a bordo delle motovedette della classe Bigliani e gli ufficiali hanno ricevuto formazione dedicata sull’uso del materiale». Quanto ai filmati, però, «la qualità e il numero di video forniti non sono ancora sufficienti per valutare se il meccanismo sia o meno uno strumento di monitoraggio affidabile». Nel 2018, dunque, alcune immagini erano già nella disponibilità delle autorità europee. Oggi, invece, si esclude che siano mai arrivate.

Secondo una fonte di Avvenire, che ben conosce l’intera storia delle complicate relazioni Europa-Roma-Tripoli e ha accesso a informazioni interne, non è da escludere che le registrazioni siano state protette come «restricted», un «noto escamotage per evitarne l'esibizione a prescindere dal contenuto».

Qualunque sia la risposta, è chiaro che l’Europarlamento non dispone di informazioni esaustive. La ragione la spiega sempre la fonte nell’ammiragliato Ue, che ci ha mostrato alcuni importanti documenti in originale. Su spinta del ministero dell’Interno italiano venne creata l’area di ricerca e soccorso libica. Si trattava, spiega la fonte, «di un mero studio di fattibilità», che non doveva valutare le capacità Sar (ricerca e soccorso, ndr) della guardia costiera libica, capacità notoriamente insufficienti, ma determinare le condizioni, gli strumenti e le risorse necessarie per realizzare, in una seconda fase, un progetto di Rcc libico (una centrale di coordinamento, ndr) in funzione di una successiva dichiarazione di un’area Sar». Invece, «lo studio preliminare fu forzatamente incluso nel più generale progetto del Viminale, in quanto gestore nazionale dei fondi europei per la sicurezza Isf». Marina e Guardia costiera italiane, perciò, sarebbero state usate per redigere una relazione, e poi tagliate fuori da decisioni strettamente politiche.



L’ufficiale invita a notare un dettaglio: «La richiesta di registrazione della Sar libica fu avviata nel maggio 2017». Non un mese a caso. Proprio all’inizio di maggio era giunta in Italia una delegazione libica di cui faceva parte il comandante “Bija”, tuttora inserito nella “lista nera” delle Nazioni Unite, dell’Ue e del Dipartimento di Stato Usa, e che una settimana prima veniva indicato dal centro studi del Ministero della Difesa italiano come uno dei principali trafficanti di idrocarburi e migranti.


Nei giorni scorsi Abdurahman al-Milad (Bija), dopo essere stato scarcerato per mancanza di prove nell’inchiesta per contrabbando di persone, petrolio e armi, oltre a essere stato promosso al grado di maggiore, ha ricevuto l’incarico di gestire l’appalto per la ricostruzione dell’accademia navale destinata ai cadetti della Marina di Tripoli. Diversi filmati e foto, spesso rilanciati dallo stesso Bija, lo ritraggono mentre riceve gli onori dai vertici militari. A poca distanza, nella sua Zawiyah, dominata dal clan Al Nasr di cui al-Milad è l’esponente internazionalmente più noto, sono ripresi una serie di regolamenti di conti, con svariati morti e feriti.

Diverse fonti locali sostengono che si stiano fronteggiando la “Brigata 444” affiliata al Ministero della Difesa e la “Stability Support Agency”, affiliata al Ministero degli Interni. Una faida che tiene insieme mafia e politica, a pochi passi dal porto che, come confermano in queste settimane inchieste giudiziarie a Malta e in Sicilia, vede dirottare sotto gli occhi del supervisore della capitaneria, sempre Bija, tonnellate di petrolio di contrabbando verso i porti Ue.

Anche di queste operazioni illegali le microcamere sulle motovedette potrebbero recare traccia. Ma, a prendere per buone le parole da Bruxelles, «nessun file video è stato ricevuto».

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