sabato 14 novembre 2020
Ieri altri due morti davanti alle coste libiche. Cardoletti (Onu): «Non possiamo continuare a contare i decessi in mare: aumentare i canali sicuri dalla Libia deve essere una priorità»
Le milizie spingono altri barconi. E l'Ue collabora ai respingimenti

Ansa

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Oltre cento morti, cinque naufragi e altri cinque interventi di salvataggio in meno di due giorni. Segno che la Libia continua ad essere tutto fuorché stabilizzata. E che le milizie non ci stanno a fermare le partenze. Mentre arriva la riprova dei respingimenti illegali verso i campi di tortura operati con il concorso delle agenzie dell’Unione europea. Ieri due gommoni con 89 e 70 persone sono state soccorse dalla Guardia costiera italiana a Sud di Lampedusa.

Un terzo barcone con 70 persone è stato intercettato da una nave d’appoggio alle piattaforme petrolifere italiane: i migranti vengono condotti a Trapani. Un altro gonfiabile si è ribaltato davanti alle coste libiche sotto gli occhi di un aereo europeo, che ha fornito l’ennesima conferma della cooperazione tra Ue e Libia nei respingimenti illeciti. Due giorni fa un velivolo di Frontex aveva chiesto alla Open Arms di cambiare rotta e dirigersi verso la scena di un naufragio. Ieri sempre Frontex ha fatto sapere di avere avvistato un altro incidente, chiedendo l’intervento anche delle Guardia costiera libica. Momenti concitati in cui non vi era altra scelta.

Ma questa pratica, specie quando a minore distanza potrebbero intervenire navi militari europee o mercantili, è stata più volte condannata dalle Nazioni Unite, che indicano la Libia come Paese di sbarco «non sicuro». In passato l’agenzia Ue aveva negato contatti diretti con Tripoli, sostenendo piuttosto di trasmettere le informazioni solo ai centri di coordinamento dei soccorsi di Malta e Roma. Ieri invece l’organismo diretto dal francese Fabrice Leggeri ha precisato di avere allertato «tutti i centri di soccorso nazionali: 102 persone sono state soccorse dalla guardia costiera libica.

Purtroppo, 2 corpi sono stati recuperati». Dopo il “soccorso” i superstiti sono stati gettati nei campi di prigionia governativi a Khoms, da cui le agenzie Onu chiedono che vengano immediatamente rilasciati. Ma per uscire dovranno affrontare il consueto girone di sevizie e schiavitù. E’ questa una delle contraddizioni più forti. Soccorsi in mare per essere condannati a torture, stupri, sevizie. «Anni senza soccorsi coordinati, anni senza adeguate vie sicure. Anni che si considera inevitabile che le persone muoiano in mare.

Si può evitarlo. Cosa si aspetta?», domanda Carlotta Sami, portavoce di Unhcr–Acnur. «Non possiamo continuare a contare i morti: aumentare i canali sicuri dalla Libia deve essere una priorità», insiste Chiara Cardoletti, rappresentante presso il governo italiano e la Santa Sede dell’agenzia Onu per i rifugiati. Ieri mattina sulle coste di Khoms, dove il giorno prima erano annegate oltre 70 persone, sono stati trovati altri cadaveri sospinti dala corrente. «Il nostro personale nella regione ha riferito che i corpi continuano ad affiorare», ha detto Safa Msehli, portavoce dell’Oim, l’agenzia Onu per le migrazioni. Nelle prigioni sotto il controllo del governo secondo dati dell’Alto commissariato per i rifugiati ci sono circa 2.400 persone.

Nei campi di detenzione vengono commessi crimini senza colpevoli. Due giorni fa un 15enne richiedente asilo eritreo è stato ucciso da un gruppo di uomini armati in una struttura di detenzione nei pressi della capitale. Altri due sono rimasti gravemente feriti. Neanche ai libici va meglio. Specie se accennano a ribellarsi al sistema mafioso su cui si reggono i poteri locali. A Bengasi non sono stati ancora individuati gli assassini dell’avvocatessa Hanane al–Barassi, attivista per i diritti delle donne e voce critica contro la corruzione di cui si alimenta la corte del generale Haftar.

Le attenzioni della politica sembrano però concentrate sul ruolo delle Ong. In mare era rimasta solo Open Arms, che probabilmente dovrà osservare un periodo di quarantena dopo lo sbarco dei migranti «Le ong, per mesi oggetto di una campagna denigratoria smascherata da numerose indagini e di fatto rimaste le uniche a prestare soccorso ai migranti in mare, non dovrebbero essere lasciate sole, tantomeno ostacolate, semmai sostenute e affiancate», scrive l’Osservatore Romano che ricorda come vi sia «un obbligo di soccorso al quale gli Stati non dovrebbero sottrarsi, al pari di quello di accogliere chi fugge da situazioni di pericolo, e che prescindono da ogni posizione e strumentalizzazione politica».

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