martedì 23 aprile 2024
Il presidente della Società di ginecologia Sigo: presenza positiva di umanità, i timori sono infondati
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«Nessuna modifica alla legge 194, che resta inalterata. L’emendamento al decreto del Pnrr che introduce le associazioni di volontariato nei consultori non cambia lo status quo, perché la 194 nell’articolo 2 le prevedeva da sempre come possibilità. La sola cosa che cambia è che si va a dare maggiore tutela alla libera scelta delle donne che intendono fare un’interruzione di gravidanza». Il professor Vito Trojano è presidente della Sigo, la Società italiana di Ginecologia e Ostetricia, e nel suo ruolo ha scritto una lettere alla premier Meloni, non per prendere una posizione o l’altra nel dibattito politico, ma per «impegnare il governo in una interpretazione corretta dell’emendamento che lui stesso ha emanato: in periodi elettorali si creano le tifoserie e trattare certi temi con equilibrio diventa complesso, allora la nostra Società scientifica con questa lettera vuole “palettare” l’interpretazione della norma per aiutare a fare chiarezza, ma anche per impegnare il governo a implementare la rete dei consultori in termini di organico e di strutture, perché saranno il perno su cui poi si articolerà tutto il resto del Sistema sanitario nazionale».

Perché allora l’alzata di scudi contro un emendamento che ribadisce concetti già presenti nella legge 194?

Da una parte c’è chi sostiene che devono essere i consultori a decidere se avere o meno all’interno le associazioni “pro vita” del terzo settore, ma una legge nazionale non può interfacciarsi direttamente con i consultori, lo deve fare per interposta persona, cioè la Regione: saranno le Regioni a inquadrare la presenza del volontariato a tutela della maternità, senza oneri per lo Stato. L’altra contestazione muove dal timore infondato che tali associazioni si ergano ad alter ego del ruolo di noi sanitari o addirittura ad impedimento della scelta della donna, ma così non è: in alcune regioni collaborano attivamente già da decenni, in altre regioni ci sono di meno, ma ovunque lavorano nell’interesse della salute e del benessere della donna. Poi è chiaro che, qualora si introducessero alcune associazioni che giudicano le pazienti o le colpevolizzano, semplicemente andranno escluse, ma per una realtà negativa non si buttano via 99 realtà positivissime. Come ho ribadito nella lettera alla premier, la parola decisionale definitiva spetta alla donna insieme al ginecologo, che rimane l’unico suo riferimento nella scelta, al di là di tutti i supporti e i consigli che può aver ricevuto nel consultorio: si mette a disposizione un sistema di sostegno alla maternità, poi sceglie lei se utilizzarlo o meno. La stessa premier ha ribadito con chiarezza che non c’è alcun ridimensionamento del ruolo del personale sanitario, il cardine resta il ginecologo, attorno al quale ruotano tutta una serie di professionalità, dallo psicologo agli assistenti sociali, con in più l’apporto fondamentale di umanità e delicatezza richieste ai volontari.

C’è una scelta solo se esiste un’alternativa: se la via è una, non serve scegliere. Ma allora la donna ha diritto a essere informata su tutto ciò che può rimuovere le cause che l’hanno indotta ad abortire, come prevede proprio la legge 194.

Questa è una parte fondamentale del ruolo del consultorio: una decisione così drammatica come interrompere la propria gravidanza non è mai legata a un solo motivo ma a molteplici, allora ben vengano i colloqui, gli aiuti e il confronto con persone che possano portare la loro esperienza concreta. In nessuna parte della legge si dice che debbano intervenire, ma solo che possono: è un valore aggiunto, non un’imposizione, e va disciplinato dalle Regioni. Ribadisco che il personale sanitario è il fulcro attorno al quale gira tutto il consultorio, il resto è un accessorio che può intervenire o meno, ma che non può mancare. Nell’emendamento del governo vedo quindi un profilo di miglioramento di una realtà che appunto già esisteva. Beninteso, ho anche scritto che la 194 non va modificata di una virgola, perché è stata ottenuta dopo tanti anni di impegno ed è ancora attuale: dove i consultori funzionano bene, il numero di aborti è calato moltissimo, vuol dire che c’è necessità di dialogo, di confronto, di ascolto dell’esperienza di altre donne che hanno avuto lo stesso vissuto. Consigli e che poi solo la donna decide se accogliere o no.

Qualcuno potrebbe dire che il calo drastico di aborti sia frutto di forzature sulle pazienti.

No, è il frutto di aver trovato la soluzione a un problema che la paziente da sola non avrebbe risolto. Sostenere la maternità non significa “tu non devi abortire!”, ma “qual è il tuo problema?”. Se è un problema clinico lo discuterà con il medico, ma se è di tipo sociale, economico, familiare servono più forze nel consultorio, e il volontariato è prezioso. Quante volte una ragazza vuole abortire perché teme i genitori? O perché non ha una casa o un lavoro? Associazioni esperte in questa tipologia di dialogo e nella soluzione di questi problemi possono essere ottime mediatrici.

Eppure l’Europa ha accusato l’Italia perché l’emendamento sulla collaborazione tra i consultori e le associazioni non avrebbe attinenza con il Pnrr.

L’accusa era che i fondi del Pnrr non c’entrassero nulla con questo emendamento, ma è un falso problema: la norma specifica che il volontariato nei consultori è gratuito e “senza oneri per lo Stato”. E noi come Società scientifica abbiamo insistito affinché la premier impiegasse risorse del Pnrr a favore del territorio e in particolare dei consultori, rafforzando il numero dei ginecologi e delle altre figure sanitarie, per garantire alla donna maggiore libertà di scelta nei tempi più brevi possibili.

© riproduzione riservata

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