sabato 4 maggio 2019
Nella giornata dell'ateneo fondato da padre Gemelli a colloquio con il rettore Franco Anelli: «Formiamo gli studenti perché assumano le loro responsabilità, devono incidere positivamente sulla realtà»
Il rettore Franco Anelli (Fotogramma)

Il rettore Franco Anelli (Fotogramma)

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Passione, talento, impegno. Sono i tre termini utilizzati per lo slogan di quest’anno della Giornata dell’Università Cattolica, che si celebra oggi. Tre parole che, secondo il rettore dell’ateneo dei cattolici, professor Franco Anelli, sintetizzano la missione dell’università che guida.

Rettore, in concreto come date vita a questi tre obiettivi?
Il tempo dello studio universitario è la stagione in cui i giovani completano la loro formazione passando dalla fase della costruzione dei fondamenti culturali della persona a quella della valorizzazione e affinamento delle particolari capacità e talenti di ciascuno attraverso lo studio specialistico. Capacità individuali e impegno sono indispensabili, ma non basterebbero a creare una personalità compiuta e matura se non fossero alimentati e orientati da quella passione che nasce dall’attribuire alle proprie azioni un senso che va oltre l’utilità materiale o il riconoscimento sociale. Scriveva infatti Rosmini che «il talento non ci fa felici, se è usato male. Il cuore, al contrario, ci inclina alla virtù, e così ci aiuta pure ad ottenere la felicità». Proprio richiamandoci all’essenza della nostra missione, papa Francesco ci ha invitati il 1° maggio, a «proseguire sempre meglio il servizio alla formazione dei giovani, in un dialogo costante tra la fede e le domande del mondo contemporaneo». Gli siamo profondamente grati per il paterno incoraggiamento, che ci sostiene nello sforzo quotidiano di offrire agli oltre quarantamila studenti che frequentano i nostri campus di Milano, Roma, Brescia, Piacenza e Cremona, conoscenze e competenze utili e di sollecitarli a una riflessione su se stessi e sul significato autentico dei loro sacrifici.

Nel messaggio della presidenza Cei si sottolinea l’importanza del dialogo tra generazioni. La scuola e l’università – accanto alla famiglia – sono sicuramente i luoghi dove questo dialogo non deve mancare. Eppure non è sempre così. Quali strumenti mettete in campo nel vostro compito educativo per mantenere vivo questo rapporto tra generazioni?
L’università è strutturalmente un luogo di incontro tra persone di differenti generazioni, a partire, naturalmente, dal fondamentale rapporto tra docenti e discenti. In questo senso, soprattutto nell'era della comunicazione digitale, il principale "strumento" con cui dare sostanza ed efficacia a tale confronto è lo stesso che già si utilizzava ai tempi di Socrate e Platone e che è in fondo la base metodologica della nostra cultura: il dialogo. Tale pratica implica, anche nel rapporto tra professori e studenti, una reciprocità di ascolto e una condivisa disponibilità ad apprendere; una precondizione che il nostro fondatore già 70 anni fa considerava essenziale nell'azione educativa. In uno scritto del 1949, infatti, padre Gemelli scriveva che «per essere educatori non basta assolvere con diligenza il dovere di istruire» e che senza un «rapporto diretto, continuo, personale, da anima ad anima, non vi è educazione, si tratti di maestri elementari o di professori universitari». Siamo perciò impegnati a rafforzare questa attitudine, peraltro già ben presente nei nostri docenti, anche in considerazione delle ricadute antropologiche e culturali delle rilevanti trasformazioni in atto e dell’esigenza di sintonizzarsi con il differente modo di apprendere, comprendere e relazionarsi dei cosiddetti nativi digitali.

Si parla di sfide epocali che «solo generazioni rinnovate nella sensibilità, nelle competenze, nelle responsabilità etiche e nella passione verso il bene comune potranno affrontare». Come le preparate?
Come dicevo, occorre in primo luogo aiutare i giovani a capire che la giusta ricerca della propria realizzazione individuale passa anche dalla capacità di assumere responsabilità personali e sociali, e che l’attenzione verso l’ambiente in cui si vive e la costruzione di relazioni positive con gli altri possono rendere migliore la loro vita. Ma, più che con le parole, questa sensibilità si trasmette con esempi e testimonianze credibili, creando occasioni che consentano ai giovani di sperimentare direttamente l’utilità e la bellezza di incidere positivamente sulla realtà. Di qui l’insistenza del nostro ateneo nell'integrare le tradizionali forme di insegnamento con altre e più coinvolgenti modalità di apprendimento e a offrire ai propri studenti numerose opportunità di partecipazione al dibattito pubblico sulle grandi questioni del nostro tempo anche facendo loro incontrare molti dei protagonisti della vita civile ed ecclesiale nazionale e internazionale.

Siete proiettati ormai verso il centenario della nascita della Cattolica. Mancano ancora due anni. Che cammino avete in mente di compiere? E cosa rappresenta un simile traguardo per l’ateneo dei cattolici?
L’ateneo è nato come un luogo di educazione, ricerca scientifica e dibattito culturale per rinnovare la partecipazione dei cattolici alla vita del Paese. Avviarsi al traguardo dei primi cento anni significa, anzitutto, riflettere sulla missione attuale dell’Università Cattolica, su come essa debba operare nel contesto contemporaneo per realizzare, anche attraverso metodi e linguaggi nuovi, i valori immutabili che costituiscono insieme la sorgente e il fine dell’ateneo dei cattolici italiani; insomma, si tratta di comprendere come debba rinnovarsi per mantenersi fedele alla propria identità e al proprio compito. Guardando al centenario, e oltre, il sentimento più intenso e positivo è la speranza che ci trasmettono gli studenti con la loro voglia di conoscere, crescere e migliorarsi. Il loro entusiasmo supera le incertezze del presente ed è la più confortante promessa per il futuro di questa università e della società intera.

IL MESSAGGIO CEI PER LA GIORNATA DELL'UNIVERSITÀ CATTOLICA

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