domenica 15 aprile 2018
Su Niger, Tripoli e Siria, fughe di notizie e colpi bassi per la supremazia nella regione. Mercuri: con il crollo della leadership del generale rischio caos e migranti
Da sinistra: il premier al-Sarraj, il presidente Macron e il generale Haftar (Ansa)

Da sinistra: il premier al-Sarraj, il presidente Macron e il generale Haftar (Ansa)

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Il mistero sulla sorte e il reale stato di salute del generalissimo libico Khalifa Haftar è parte del risiko che la Francia sta giocando da tempo nell’Africa Settentrionale e nel Medio Oriente. Spesso a danno dell’Italia, unico partner europeo che per ragioni storiche e per interessi politico-economici, può ostacolare le crescenti ambizioni regionali di Parigi. Ghassan Salamé, inviato dell’Onu in Libia, ha avuto una conversazione telefonica di circa dieci minuti con il generale Haftar, scriveva ieri il quotidiano Lybian Express, citando come fonte lo stesso Salamé.

La notizia, scrive il giornale, mette in forte dubbio l’annunciato decesso di Haftar in un ospedale parigino. Dalla capitale francese alcune fonti assicurano che l’uomo forte della Cirenaica «tornerà a Bengasi entro la prossima settimana». Perplessità suscita il comportamento delle autorità francesi, che sulla vicenda avrebbero chiuso i canali con le cancellerie europee. Haftar, in altre parole, resta nelle mani di Parigi, che non intende condividere le informazioni in proprio possesso. La diplomatie de la santé francese, che trasforma in arma negoziale la “diplomazia della salute”, è un fatto che la storia racconta. Dall’ex dittatore dello Zaire, quel Mobutu Sese Seko con villa in Costa Azzurra e assistenza sanitaria francese nel suo esilio tra Francia e Marocco, dove morì nel 1997; per arrivare a Yasser Arafat, il leader palestinese deceduto nel 2004 dopo un improvviso aggravamento nell’ospedale militare di Clamart, non lontano da Parigi. Haftar sei mesi fa si era recato per la prima volta all’Eliseo, aprendo un inedito canale di dialogo che ha fatto del generale il perno della bilancia non solo libica.

Dal quartier generale di Bengasi passano le intese con Egitto, Emirati Arabi, Russia, Usa e adesso anche Francia. Una sfida, quella rilanciata dal presidente Macron, a colpi di diplomazia, armate e servizi segreti. Tra bluff e colpi bassi, come le calcolate fughe di notizie sul ruolo dell’Italia in Niger. Per mesi alcuni media francesi hanno raccolto a Niamey le voci di alcuni ministri contrari alla missione italiana, mentre da Roma veniva ribadito che l’Italia era stata chiamata in soccorso dal governo nigerino. Poi, nei giorni scorsi il presidente Mahamadou Issoufou ha ridimensionato il ruolo italiano, relegando la missione a una insignificante presenza militare: una cinquantina di uomini sul campo e tanti dubbi sul prosieguo dell’operazione. A fine marzo un nuovo colpo sotto la cintola. Le Monde rivela che il capo dei servizi segreti di Assad si è recato a Roma con un volo dell’intelligence italiana. Niente di strano, per chi conosce come vanno questo genere di frequentazioni. Ma la visita del crudele Ali Mamlouk, che secondo i media francesi avrebbe avuto più di un faccia a faccia con Alberto Manenti, il direttore del servizio segreto per l’estero (Aise), è diventato materia per una interrogazione al Parlamento Europeo.

La notizia, in realtà rivelata a febbraio dal quotidiano libanese Al-Akhbar, è stata confermata a Le Monde «da tre fonti molto informate sugli affari siriani». Ad Avvenire l’intelligence italiana ha risposto ribadendo di «non voler commentare la notizia». Non è una conferma, ma neanche una smentita. L’affaire si inserisce in un quadro di rapporti tesi sulla linea Parigi-Roma. In alcuni delicati dossier – si pensi a Vivendi-Telecom, Fincantieri-Stx e, da ultimo, proprio la missione militare in Niger – ci sono state evidenti tensioni ed il prossimo governo dovrà scegliere come affrontare quella che molti definiscono «postura aggressiva » della Francia. Il clamore sul caso Haftar, comunque, dà il senso del suo peso. Un’uscita di scena o un progressivo decadimento della sua leadership «porterà a una recrudescenza della violenza a causa di quanti vorranno prendere il suo posto», osserva Michela Mercuri, docente all’Università di macerata e autrice di «Ingognita Libia» (Franco Angeli).

«Dal punto di vista interno – prevede – assisteremo a una escalation dello scontro, ma in ogni caso non credo che queste ricadute possano consolidare il governo riconosciuto di Serraj». Ad avviso di Mercuri la «caduta» di Haftar non avrà immediate ripercussioni sul flusso di migranti verso l’Italia, «perché il nostro governo ha fatto accordi con le singole milizie sul campo». Ma è certo che la Libia «rischia di precipitare nel caos». E quali saranno le ricadute di un nuovo conflitto clanico, nessuno può prevederlo.

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