domenica 11 novembre 2018
Intervista a Filomena Albano: ogni famiglia che vive la separazione è un caso particolare e quindi non si possono imporre norme generali
«Ddl affido, rigidità sbagliata. Al centro non c'è il bambino»
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Quando si parla di rapporto tra figli e genitori separati, la rigidità è sempre un errore. Come è sbagliato ogni obiettivo 'adultocentrico' che possa rischiare di mettere in secondo piano i diritti dei bambini. Per questo il ddl Pillon sull’affido condiviso va profondamente rivisto. Il parere dell’Autorità garante per l’infanzia e per l’adolescenza è già stato depositato presso la Commissione giustizia del Senato e verrà reso noto nei prossimi giorni. Ma la Garante, Filomena Albano, accetta di anticipare qui gli aspetti più rilevanti.

Perché avete sentito la necessità di intervenire?

Prima di entrare nel merito, una premessa importante: la separazione non è mai un momento facile, neppure per gli adulti, ma nel bilanciamento dei diritti, quelli dei minori devono comunque essere posti al centro della questione. Mi sembra giusto poi ricordare che la famiglia non si dissolve nella separazione, ma si ricompone con un diverso assetto. Si rimane genitori per sempre. E quindi bisogna considerare che, con il passare del tempo, mutano le relazioni tra genitori, tra genitori e figli anche in considerazione all’età, al numero, alla condizione dei genitori, alla residenza, all’organizzazione della vita familiare, all’eventuale ingresso di nuovi partner nella vita dei genitori. E tutti questi aspetti vanno considerati caso per caso.Tolstoj ha scritto che tutte le famiglie felici si assomigliano, ma quelle infelici lo sono ciascuna a modo proprio.

Nel ddl sull’affido condiviso non c’è questa attenzione alla specificità di ogni situazione?

No c’è rigidità. Pensiamo alla suddivisione paritetica dei tempi. Questa disposizione potrebbe essere in contrasto con l’interesse dei figli perché non tiene conto dei disagi derivanti da un doppio domicilio, delle abitudini pregresse, del rischio di spezzare la loro vita di relazione. In ogni caso non si possono imporre norme generali, ma bisogna valutare caso per caso. Un conto è la condizione di una famiglia che risie- de in un piccolo paese e in cui i genitori vanno d’accordo. Ma per una famiglia che abita in una grande città, magari con un bambino disabile, una previsione aprioristica di tempi paritetici può rappresentare un grave disagio per il bambino. E questo va evitato.

Eppure il principio della bigenitorialità va salvaguardato, no?

Ma certo, è importantissimo. Però va visto dalla parte del minore, non dei genitori. Continuare a godere della presenza attiva e responsabile di entrambi i genitori è un diritto del figlio. Ma la bigenitorialità non si tutela con la di- visione del tempo a metà, che rischia appunto di risultare una preoccupazione 'adultocentrica' e di mettere quindi in secondo piano le esigenze concrete del figlio.

Avete espresso una valutazione negativa anche sulla mediazione obbligatoria, perché?

La mediazione è cultura da incentivare non passaggio da rendere obbligatorio. Funziona se diventa un percorso di partecipazione libero e volontario. Renderlo obbligatorio rischia di svuotarne il significato, anche perché, in caso di conflittualità esasperata tra i genitori, potrebbe allungare i tempi del procedimento a danno dei bambini che continuerebbero così ad assistere a situazioni sgradevoli.

Come uscirne?

Noi propiniamo due soluzioni. La prima, più soft, potrebbe essere quella di inserire nel decreto di fissazione dell’udienza presidenziale l’invito alle parti a rivolgersi a un mediatore (oggi non previsto per legge, anche se in qualche tribunale viene fatto). La seconda, un po’ più invasiva, potrebbe rendere obbligatorio, sempre alla prima udienza, un incontro informativo alla presenza del mediatore che spiega le finalità della prassi. Ma poi il percorso dev’essere libero.

Ci sono molte perplessità anche sulla cosiddetta gestione economica. Cosa ne pensa l’Autorità garante?

La previsione di un assegno di mantenimento per i figli garantisce il soddisfacimento delle esigenze dei figli stessi e una maggiore effettività in caso di inadempimento al pagamento dell’assegno. Con il mantenimento 'diretto', in luogo dell’assegno, la disparità economica tra le due figure genitoriali rischia di essere più evidente nei periodi di permanenza del figlio presso l’uno o l’altro, con inevitabile ripercussione sulla esistenza del figlio e sulla qualità della relazione genitoriale. Questa conseguenza potrebbe manifestarsi in particolare con riferimento al pagamento delle spese ordinarie: si pensi alla spesa alimentare, ai vestiti e alle utenze domestiche, che potrebbero essere 'ricche' in un contesto e non essere garantite nell’altro. Mentre ai bambini bisogna assicurare lo stesso tenore di vita con l’uno e con l’altro genitore.

Avete espresso critiche anche sulle modalità di ascolto del minore in caso di alienazione genitoriale?

Si tratta di un punto molto delicato. Il rifiuto del bambino di vedere un genitore è un segnale importante. Quindi è giusto interrogarsi sulle ragioni di questo rifiuto. Noi partiamo sempre da questo presupposto: i bambini sono persone titolari di diritti. E devono avere la possibilità di esprimere i propri disagi. Dietro un rifiuto ci sono possono essere tante motivazioni, ogni famiglia ha la sua storia, ogni separazione è un caso a sé. Pensare che dietro ogni situazione ci sia un caso di alienazione genitoriale e che quindi il bambino vada allontanato da casa, potrebbe essere un errore. Ascoltiamo il suo parere e valutiamo caso per caso.

I punti chiave del ddl

BIGENITORIALITÀ «Almeno 12 giorni al mese con papà» Obbligo che non si può generalizzare Dovrà mantenere i rapporti con entrambi i genitori. E questo è giusto, come già prevedeva la legge 54 del 2006 che il ddl Pillon si propone di superare. Ma per ottenere il risultato si impongono modalità considerate da tutti gli esperti troppo rigide. Per esempio l’obbligo della doppia residenza, considerata psicologicamente inopportuna per un bambino, soprattutto se in età prescolare. E anche quello di trascorrere «almeno 12 giorni al mese» con il papà, visto che ancora nel 90% dei casi quello che una volta si chiamava genitore collocatario è la madre. Una rigidità che apre molti interrogativi pratici a cui la legge non risponde.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO Tutti i dubbi delle spese “dirette” E a 25 anni stop ad ogni aiuto per i figli Il ddl Pillon cancella l’assegno di mantenimento per i figli – rimane a certe condizioni quello per la moglie – e introduce lo schema del mantenimento diretto. Ma come fare quando i genitori hanno redditi molto diversi e uno dei due genitori non riesce a provvedere alle spese ordinarie? Non c’è il rischio che si creino condizioni di grande disparità, con un genitore che garantisce un tenore elevato e l’altro che vive di stenti? Il piano di mantenimento durerà fino ai 25 anni dei figli, poi cesserà. Ma a quell’età la maggior parte dei ragazzi ha nel migliore dei casi terminato da poco l’università e il lavoro è tutt’altro che garantito. Che fare?

MEDIAZIONE OBBLIGATORIA Conciliare chi non intende farlo? Impossibile (e anche rischioso) La «mediazione obbligatoria» per legge per una durata di almeno sei mesi, quando nella separazione siano coinvolti figli minorenni, è considerata dagli stessi mediatori familiari un controsenso. Non si può 'mediare' una coppia che non intende farlo e dove, soprattutto, l’elevata conflittualità rischia di trasformare ogni seduta in uno scontro. Dove il conflitto è insanabile, quando per esempio sono già presenti nuovi partner, meglio prevedere incontri 'obbligati' ridotti al minimo. Va poi considerato che, in caso di violenza manifesta o sottotraccia, se l’obbligatorietà ritarda le procedure, a farne le spese rischia di essere sempre e comunque il minore.

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