
IMAGOECONOMICA
«Sappiamo che il diritto d’asilo è legato alla storia singola delle persone quindi andare nella direzione dell’individuare i Paesi sicuri è un po’ prescindere dalle persone». Padre Camillo Ripamonti del Centro Astalli commenta così, il giorno dopo, la diffusione di un primo elenco dei Paesi sicuri proposti dalla Commissione europea. Il numero uno del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, l’organizzazione cattolica internazionale, attiva in 58 nazioni, la cui missione è accompagnare, servire e difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati, è perplesso e non nasconde le critiche. In questo primo elenco individuato dall’Ue compaio sette Paesi: si tratta di Kosovo, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Marocco e Tunisia. Paesi, che, al di là delle storie individuali e personali, non appaiono molto “sicuri”.
«Mi sembra che anche un portavoce della Commissione ha poi aggiunto che questo elenco non esime dal valutare, caso per caso, ogni singola situazione, aggiunge Ripamonti. Anche perchè questo primo elenco di Stati «non fa che confermare questa impressione». «L’India, ad esempio, con un miliardo e 400 milioni di persone ha conflitti interni in alcune aree del Paese; lo stesso Bangladesh poi ha una situazione di instabilità; per non parlare dell’Egitto che, con il caso Regeni, ci dice anche delle difficoltà che vive il Paese sotto alcuni aspetti; ma anche la Colombia che, pur con la firma della pace con le Farc continua ad essere caratterizzata da una certa instabilità».
«Già con questi piccoli esempi non si può certo parlare di Paesi sicuri – aggiunge Padre Camillo – e così, con gli elenchi dei prossimi Paesi immagino che si continuerà in questa stessa direzione». Comunque la questione centrale in tema di migrazioni, per padre Ripamonti, «non è andare a individuare il paese sicuro ma ascoltare la storia delle persone». Con circa 24mila stranieri accompagnati in tutta Italia nel 2024, il Centro Astalli è in prima linea nel percorso per il riconoscimento della protezione e per l’accesso all’accoglienza o a percorsi di integrazione.
L’elenco dei Paesi sicuri della Commissione permette agli Stati membri di applicare a questi cittadini la procedura di frontiera, o una procedura accelerata, che consente un esame più veloce delle domande di asilo.
«Tanti stranieri si rivolgono a noi per preparare il colloquio con la commissione territoriale che deve valutare la domanda d’asilo – spiega il padre gesuita – Molti hanno dovuto viaggiare e subire periodi di detenzione, hanno disturbi post-traumatici da stress e non sanno raccontare bene la loro esperienza. Dall’esterno può anche sembrare una storia inventata. E questa fretta nel decidere (con la procedura di frontiera o accelerata, ndr) molto spesso è nemica proprio della ricostruzione di storie travagliate e drammatiche. Se si vuole regolamentare il flusso delle persone che emigrano non bisogna attaccare il diritto d’asilo, bisogna rivedere nel complesso il fenomeno migratorio e quindi i decreti flussi e fare in modo che il migrare sia possibile e legale altrimenti le persone sono costrette a trovare vie alternative».
Anche per Filippo Miraglia (Arci e portavoce Tavolo asilo) la pubblicazione dell’elenco dei Paesi sicuri è un «colpo mortale per la democrazia». «Si tratta di un pesante arretramento del diritto dell’Ue, che punta a cancellare uno dei fondamenti della civiltà giuridica europea e internazionale: il diritto d’asilo». «Classificare come sicuri Paesi dove gli oppositori vengono fatti sparire, incarcerati e torturati, dove i diritti umani sono violati sistematicamente, significa non solo chiudere gli occhi davanti alla realtà ma anche ignorare che queste scelte avranno conseguenze pesanti sulla vita concreta di milioni di persone – aggiunge – La proposta è solo l’ultimo tassello di una più ampia strategia di esternalizzazione delle frontiere e di progressiva distruzione del diritto d’asilo».
Mentre Gianfranco Schiavone (Asgi) è preoccupato dal metodo con cui vengono designati i Paesi. «Sono individuati dalla commissione in modo sommario, senza indicare le fonti utilizzate – spiega – Nella scarna decina di righe per ognuno dei paesi asseritamente sicuri si afferma falsamente che non sussistono in tali paesi seri problemi di violazione dei diritti umani fondamentali anche quando tutte le fonti internazionali indicano l’esatto opposto» attacca Schiavone. «La nozione di paese di origine sicuro viene così stravolta e piegata a finalità politiche che dovrebbero rimanere del tutto estranee al mandato istituzionale della commissione».