giovedì 19 aprile 2018
L'Osservatorio nazionale sulla salute: difficile garantire adeguata assistenza. In evidenza un divario tra regioni settentrionali e meridionali
6 milioni di anziani senza tutele
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Se è vero che in Italia si vive di più, in molti casi lo si fa peggio, con la paradossale conseguenza di avere più tempo a disposizione e di ritrovarsi a spenderlo per curarsi. È la fotografia scattata dall’Osservatorio nazionale sulla Sanità delle regioni italiane, che ieri ha presentato il suo rapporto annuale al Policlinico Agostino Gemelli di Roma.
Il giudizio che ne viene fuori è quello di un Sistema sanitario nazionale piuttosto resiliente, perché ancora sostenibile nonostante la riduzione (o il mancato adeguamento) delle risorse. Incapace, però, di allargare efficacemente il proprio perimetro nel campo della prevenzione e di imporre una strategia a lungo termine, con gravi conseguenze per anziani, disabili e famiglie.
Il nostro Paese, pur essendo tra i primi al mondo per longevità, è soltanto 11esimo nell’Unione Europea per aspettativa di vita senza limitazioni fisiche. D’altro canto, oltre un italiano su cinque – come si evidenzia nello studio – ha più di 65 anni, la popolazione residente sta diminuendo e i cosiddetti "giovani anziani" (tra i 65 e i 74 anni) in soli dieci anni saranno oltre 6,5 milioni.

Tra gli over 65, in particolare, crescono quelli non autosufficienti. L’11,2% dichiara di avere molta difficoltà o di non riuscire a svolgere attività quotidiane come mangiare o alzarsi dal letto. In Danimarca questo dato è soltanto al 3,1%, nell’intera Ue all’8,8%. Il risultato di questo cambiamento di scenario? «Ci troveremo di fronte a seri problemi nel garantire un’adeguata assistenza agli anziani – ha sottolineato il direttore scientifico dell’Osservatorio, Alessandro Solipaca – perché la rete degli aiuti familiari si va assottigliando, a causa della bassissima natalità e della precarietà dell’attuale mondo del lavoro che non offre tutele ai familiari caregiver», coloro cioé che si prendono cura dei malati.
Qualche miglioramento arriva dagli stili di vita. Ma se da una parte si registra un aumento delle persone che hanno scelto di fare un po’ di attività fisica (più 1,5% rispetto al 2015), dall’altra è cresciuto il numero di obesi (dal 8,5% al 10,4% dal 2001) e delle persone in sovrappeso (più 2,3%). I fumatori non diminuiscono da ormai 4 anni, mentre per quanto riguarda il consumo di alcol si assiste a una lenta e inarrestabile riduzione dei non consumatori (astemi e astinenti negli ultimi 12 mesi).

La buona notizia è che i tassi di mortalità precoce dovuta a tumori o malattie croniche, come diabete e ipertensione, sono scesi del 20% in 12 anni. Questo significa che il sistema è riuscito ad incidere sulla mortalità evitabile. Nel caso del tumore al polmone negli uomini il tasso è diminuito di quasi tre punti percentuali, mentre il cancro alla cervice uterina è calato del 4,1%. Traguardi raggiunti in un contesto difficile e, secondo l’Osservatorio, ancora sottovalutato: «I 21 sistemi regionali stanno raggiungendo il pareggio di bilancio – riprende Solipaca –. Negli ultimi anni, nei quali la spesa è rimasta uguale se non diminuita, la sanità è riuscita a far fronte ai problemi di numeri e nel frattempo la vita media si è allungata. Ma si tratta di una sostenibilità pagata a caro prezzo, soprattutto in termini di riduzione del personale e delle prestazioni». Un costo come detto sostenuto in parte delle famiglie, che affrontano da sole le spese di un paziente a carico o emigrano in altre regioni per ottenere prestazioni accettabili e adeguate alle loro condizioni.

«Non abbiamo nulla da imparare su diagnosi e terapia, ma siamo carenti su prevenzione e post terapia – sottolinea Roberta Siliquini, presidente del Consiglio superiore di sanità –. I malati cronici sono in aumento e vanno inseriti in un circuito che coinvolge molti altri attori, non solo i medici. La malattia cronica ha un peso sociale molto rilevante anche se ancora non del tutto osservabile perché ancora non esistono standard di raccolta e analisi dati. In molti casi influisce sulla salute mentale e, anche se i ricoveri per questo tipo di problemi diminuiscono, aumenta l’uso di psicofarmaci. Si tratta di disturbi sommersi».

Al Sud si muore di più per la poca prevenzione

In Italia si muore di meno, ma solo nelle regioni in cui si fa prevenzione e al Sud, in particolare, se ne fa ancora troppo poca. L'ennesimo richiamo al Paese a doppia velocità arriva dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni. «Il Sud si allontana sempre di più. Ci sono strutture sanitarie tunisine che possono vantare indicatori migliori di quelli ottenuti in alcuni centri del Mezzogiorno – avverte Walter Ricciardi, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità –. Ma il problema di queste regioni non riguarda i medici: nelle condizioni in cui operano potremmo dire che sono anche più bravi degli altri. Chi governa, però, deve darsi una mossa. Il disavanzo in termini di qualità della vita si sta facendo insopportabile. Serve una nuova alleanza tra Stato e Regioni per la Sanità. Viviamo una situazione incostituzionale: quello alla salute è un diritto fondamentale non accessorio»
A certificare il divario tra il Meridione e il resto del Paese c'è il dato sulla sopravvivenza per tumore, largamente omogenea nel Centro-Nord e sensibilmente inferiore al Sud e nelle Isole. In Veneto, ad esempio, il tasso di mortalità per il cancro al polmone è calato di quasi cinque punti percentuali, mentre in Basilicata e in Calabria soltanto del 1,9%.
I ricercatori dell'Osservatorio indicano nella documentata minor copertura del sistema di screeninig uno dei principali fattori di divario nelle performance tra sistemi sanitari. E in effetti, se nella provincia autonoma di Trento gli esami preventivi per il tumore del colon raggiungono il 72% dei cittadini, in Puglia si fermano al 13%.
Alla Campania spetta invece il primato per la mortalità precoce (297,3 per 10.000) con un tasso del 22% in più rispetto alla media nazionale e del 14% rispetto alle altre regioni del Sud. Anche l'accesso alla sanità privata rivela distanze consistenti, almeno da un punto di vista quantitativo. Lo scorso anno la spesa media di una famiglia lombarda per le cure mediche è stata pari a 608 euro, la più alta in Italia. Quasi tre volte il costo affrontato dalle famiglie delle tre regioni fanalino di coda: Calabria (274 euro), Campania (263) e Sicilia (245 euro). «Il Fondo sanitario nazionale va riequilibrato – ragiona Ricciardi –. Non ci si può basare su bisogni teorici desumibili dalla struttura demografica delle regioni, ma sui reali bisogni di salute. Occorre inoltre un recupero di qualità gestionale, troppo deficitaria nelle regioni del Mezzogiorno».

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