sabato 5 agosto 2017
Quattro metri e mezzo di neve persa solo negli ultimi 5 anni. A inizio agosto già consumate tutte le riserve idriche accumulate nell'inverno
L'Adamello

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Da Cima Giovanni Paolo II svetta la granitica croce giubilare, che l’operosità dei valligiani illuminò in mondovisione prima ancora dell’alba del nuovo millennio. Era la notte del 31 dicembre 1999, e l’ormai debilitato pontefice polacco ricordò da Roma la sua sciata del 1984, l’altare eretto a ricordo, la messa per gli alpini presieduta lì 4 anni più tardi...

Racconta anche questo l’Adamello: il maggior ghiacciaio, il 'negativo' del maggior lago d’Italia. È qui – ma un poco anche sui due gruppi dirimpettai, Presanella e Brenta – che la neve diventa Garda, ed è qui che la prima acqua inizia a dimenarsi nel torrente Sarca: danzerà per 80 chilometri e 3000 metri di dislivello tra la Val Genova e la Rendena, tra Le Sarche e la valle dei Laghi, prima di acquietarsi a Torbole nell’abbraccio del Benaco.

Su quell’immensa superficie ghiacciata, con i pattini dell’elicottero quasi scivoli. Ma quando il pilota accarezza una leva alzandola di pochi millimetri, lo scatolino volante guadagna in quota centinaia di metri. È allora che abbracci con lo sguardo la totalità di quel ventosissimo ma immobile oceano. E consideri che se cent’anni fa quelle nevi furono arrossate dal sangue della Guerra bianca – la porzione d’alta quota del primo conflitto mondiale –, oggi sono ingrigite dal riscaldamento di un pianeta che vive come se non ci fosse un domani. «È un disastro! Qui sotto era tutto ghiaccio, non c’era nemmeno un sasso. Ora invece…».

Romano Ceschini indica la vedretta su cui è abbarbicato il luogo che gestisce dal 2000, la caserma austroungarica divenuta rifugio 'Ai Caduti dell’Adamello'. Lì, ai 3000 metri del passo della Lobbia, chiunque abbia sfidato il ghiacciaio piccozza in mano e ramponi ai piedi lo vede più che altrove: sassi e sole son fauci affamate di ghiaccio. E «quando il ghiaccio inizia a rompersi, facendo affiorare la roccia, significa che sta entrando in agonia». Christian Casarotto è un glaciologo del Muse, il Museo delle scienze di Trento. Dati alla mano, sciorina quei 4 metri e mezzo di neve persa solo negli ultimi 5 anni. E annuncia che già ora «si sono consumate tutte le riserve idriche accumulate nell’inverno». Il concetto è semplice: tutta l’acqua in caduta libera è ghiaccio a cui dire addio.

FOTOGALLERY Alle sorgenti del Garda di Marcello Palmieri e Federica Priori

Acqua grigia, limo affiorante, contorni scuri e sinuosi: disegna geometrie aerospaziali il lago 'Nuovo', recente formazione generata dall’innalzamento delle nevi perenni. È l’inizio della romita Val Genova: cuore del Parco naturale Adamello Brenta, serbatoio del Garda. Qui l’acqua precipita ovunque: dal ripido vallone del Mataròt, subito dopo le Lobbie in destra orografica, dove la potenza della natura ha scavato la roccia in verticale; e più in giù dalle cascate di Lares, a cui la prospettiva dell’elicottero aggiunge il fascino di uno scroscio che sembra precipitare perfettamente elicoidale. Ma ormai in bassa valle – e stavolta in sinistra orografica – il volo si apre sulle regine della Val Genova: le due cascate Nàrdis. Ma ora stan diventando pure il pianto della Presanella, altro ghiacciaio proiettato verso l’estinzione.

D’altronde i dati della Provincia di Trento lo scandiscono chiaro: «Nella settimana tra il 16 e il 23 luglio 1997 – conteggia il dirigente dell’Ufficio dighe, Bruno Lorengo – l’idrometro della Val Genova registrava il livello del Sarca a 71 centimetri. Cinque anni fa, nello stesso periodo, 65. Il mese scorso 10 centimetri meno». Ma l’acqua è sempre troppa per Casarotto: «Ormai le nevi perenni sono come una famiglia che spende più di quanto guadagna: prima o poi si ritroverà senza nulla». Tra parentesi: mai capitato di stare sul ghiacciaio in maniche di camicia. Fatto sta che ora un golfino è decisamente troppo: provare per credere.

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