Non c'è solo il bonus psicologo: ecco alcuni progetti che possono fare scuola
Lunedì 15 settembre riparte la misura di sostegno: 400mila le richieste, ma i fondi basteranno per 6.300 persone. Intanto alcune sperimentazioni positive di aiuto stanno funzionando

In Italia circa 850mila persone sono in carico ai servizi psichiatrici pubblici, ma alcuni segnali mostrano che il bisogno che resta sommerso e senza una risposta è ancora tanto: tra questi c’è il gran numero di richieste attese per il bonus psicologo, per il quale si può fare domanda dal 15 settembre al 14 novembre. Si stima che 400mila persone con i requisiti necessari ne faranno richiesta, ma le risorse stanziate per il 2025, 9,5 milioni di euro, saranno sufficienti ad aiutare solo circa 6.300 persone. «Troppo poche e per troppo poco tempo», sintetizza Michela Di Trani, docente della Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza e tra i fondatori dell’associazione Pubblica che ha lanciato la campagna “Diritto a stare bene” con l’obiettivo di raccogliere entro il 10 dicembre le 50mila firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che punta ad allargare il bonus al 100% dei richiedenti che ne hanno diritto e a superare i limiti di questa misura istituendo un sistema psicologico pubblico integrato nel Servizio Sanitario.
«L’Oms ci dice che a livello mondiale un giovane su sette è affetto da disturbi mentali. Questo numero è allarmante se non mettiamo in campo interventi preventivi», a parlare è Emidio Musacchio, psicologo della Fondazione Asilo Mariuccia. Come responsabile dei servizi socio-educativi che la Fondazione porta avanti a Porto Valtravaglia (Varese), ne ha conosciuti tanti di ragazzi tra i 14 e i 21 anni che vivevano in situazioni di disagio, anche con traumi legati alle famiglie, ai viaggi migratori e all’esclusione sociale. «All’interno delle nostre comunità residenziali che accolgono questi giovani collaboriamo con psicologi, neuropsichiatri e servizi territoriali, così da costruire dei percorsi integrati che tengano conto della complessità delle storie individuali, spesso pregiudizievoli, che hanno alle spalle. Sono ragazzi che fanno un’enorme fatica a fidarsi degli adulti, ma tante volte, attraverso questi percorsi, siamo riusciti a fargli trovare un equilibrio».

Ansia, depressione, traumi non elaborati, comportamenti autolesivi o aggressivi si manifestano spesso già in età scolare, compromettendo in modo significativo lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale. Il disagio giovanile, però, ha molte forme e non riguarda solo contesti più estremi. Basti pensare ai Neet (giovani che non studiano e non lavorano) e all’alta percentuale di abbandono scolastico: tutti fenomeni che mostrano una sensazione diffusa di mancanza di prospettive. «La fragilità dei giovani è evidente. Tuttavia, oggi mostrano un crescente desiderio di condividere le proprie emozioni. Parlano apertamente delle difficoltà, e questo apre uno spazio nuovo di intervento», specifica Musacchio.
È così dunque che negli anni la Fondazione ha sperimentato percorsi integrati di formazione e supporto psichico. «Il progetto “Coltivare inclusione”, per esempio, ha coinvolto giovani provenienti da vari contesti di fragilità ed esclusione, tra cui minori accolti nei nostri servizi o del territorio, ragazzi con disabilità cognitive o disturbi dell’apprendimento, giovani migranti e adolescenti con alle spalle percorsi scolastici interrotti», spiega. Attraverso attività agricole e florovivaistiche – tra orti, parchi, coltivazioni, serre e giardini – i partecipanti hanno potuto scoprire i loro punti di forza ma anche quelli di debolezza su cui lavorare, vedendo i frutti concreti del proprio impegno: «Hanno potuto sperimentare il valore del lavoro condiviso, della responsabilità, del contatto con la natura come strumento di benessere. Ricordo in particolare un ragazzo con disturbo dello spettro autistico che grazie al giardinaggio ha trovato nuove capacità comunicative. Dopo questo percorso formativo, alcuni di loro hanno proseguito con questo mestiere, altri sono stati indirizzati a dei tirocini in aziende di settori diversi, dove hanno potuto mettere in pratica le capacità acquisite».
Accanto a questo, la Fondazione ha sviluppato il progetto “IntegrAzione”, che ha portato minori stranieri non accompagnati, arrivati in Italia in condizioni di totale vulnerabilità, nelle officine di carpenteria navale a restaurare imbarcazioni storiche del Lago Maggiore. Anche in questo caso dei ragazzi, «che hanno vissuto troppo e troppo in fretta», accompagnati dagli educatori hanno potuto accrescere la consapevolezza di sé, oltre a imparare come si lavora e a farlo in squadra. «Molti di loro hanno affrontato viaggi traumatici proprio in mare. Un trauma è come una gamba rotta: se prima non aggiusti quella non puoi pretendere che la persona possa correre. Aggiustare e rimettere in acqua barche apparentemente perdute è diventato un modo per elaborare il trauma, costruendo parallelamente opportunità per il loro futuro», racconta Musacchio. Attraverso le attività manuali, aggiunge lo psicologo, si aprono più facilmente degli spazi di dialogo in cui gli operatori possono riuscire a indirizzare i ragazzi: «C’è ancora uno stigma rispetto ai percorsi di supporto psicologico, i ragazzi tendono a credere che siano solo per “i matti”. Quando si trovano in contesti proattivi riusciamo invece ad avvicinarli meglio e ad accrescere la loro consapevolezza sull’utilità del sostegno psicologico, orientandoli verso questi, se è necessario».

Quella della Fondazione non è l’unica sperimentazione positiva che cerca di abbattere stereotipi e al contempo offrire risposte concrete a una crescente domanda di benessere psichico che non riguarda solo i giovani. Un altro esempio tra i tanti arriva da Roma, dove da 25 anni la Scuola di specializzazione in psicologia della salute dell’Università La Sapienza porta avanti il progetto di “copresenza” che affianca psicologi in formazione ai medici di base. «Portiamo la psicologia direttamente nello studio del medico» spiega la psicologa Valeria Totta, coordinatrice dell’iniziativa. I pazienti sono avvisati della presenza dello psicologo da un cartello in sala d’attesa. «Non è il paziente che va da uno psicologo, ma lo trova lì per tutti e così fa meno fatica ad aprirsi, si riduce lo stigma», aggiunge. In questo modo si intercettano precocemente segnali di disagio, prima che si trasformino in patologie più gravi. La copresenza permette di ridurre anche i costi sanitari: «Abbiamo osservato che chi accede a queste visite in copresenza ha meno probabilità di ricorrere a esami e farmaci inutili. Succede anche che le persone arrivino accusando malesseri fisici, ma poi con l’aiuto dello psicologo capiscano di aver bisogno piuttosto di una psicoterapia».
Sempre a Roma è nata l’iniziativa a contrasto del disagio giovanile “A mente libera”, realizzata con gli psicologi di Farmacap e il contributo dell’Università La Sapienza. «Abbiamo voluto creare uno spazio i cui i ragazzi dai 18 ai 30 anni possano chiedere aiuto senza sentirsi giudicati», spiega Michela Di Trani, docente e psicologa coinvolta nell’iniziativa che offre colloqui gratuiti, laboratori di gruppo e momenti di riflessione con esperti, tutti riservati e accessibili anche senza diagnosi o invii medici. L’idea di fondo è normalizzare il bisogno di supporto psicologico. «È normale non sentirsi sempre a posto ed è legittimo parlarne con qualcuno», conclude Di Trani.
Dall’orto che cresce ai pezzi di una barca da aggiustare un giorno dopo l’altro, fino allo psicologo che ascolta in ambulatorio insieme al medico di fiducia e ai gruppi che affermano il diritto di dire “non sto bene”, tutte queste esperienze, seppur diverse, hanno un filo comune: la centralità della persona e del suo benessere psico-fisico. Con la consapevolezza che ogni sforzo nella cura della salute mentale è un investimento strategico sul futuro della persona e su quello della collettività.
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