«No alla retorica della guerra, serve un vocabolario alternativo»
di Diego Motta
Padre Bernardo Gianni: riarmo e violenza non sono ineluttabili. Serve un'azione di desistenza da parte di tutti. Le parole di Papa Leone XIV danno ispirazione e speranza

Il mondo è finito in un labirinto, ma rassegnarsi alla legge del più forte non avrebbe senso. «Davanti a un lessico smodato di guerra, possiamo rispolverare come cristiani un linguaggio di pace e recuperare un vocabolario alternativo» dice dom Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte, che in questi anni impazziti ha provato a tenere insieme la contemplazione e l’azione, la preghiera e la partecipazione. La linea tracciata dal magistero della Chiesa e dalla lezione degli ultimi Papi è d’ispirazione, ma il primo passo tocca alle persone e alle comunità. «C’è un problema culturale alla base di quanto sta accadendo – riflette dom Bernardo, monaco benedettino che si ispira alla lezione di pace di Giorgio La Pira, sindaco “santo” di Firenze -. Ormai prima si bombarda e poi si negozia. Si dichiara guerra senza spiegarne le ragioni e poi si proclamano armistizi e si annunciano tregue su tregue».
Il riarmo sembra ineluttabile, padre Bernardo, e il motto latino “si vis pacem, para bellum”, se vuoi la pace, prepara la guerra, è tornato a essere la cornice di tutti i discorsi istituzionali. Siamo dentro un destino segnato?
Si è creato un clima di assuefazione e ineluttabilità della violenza, è vero. La situazione si è deteriorata da quando anche l’Europa ha iniziato a parlare di armi. Ma le vere vittime sono i più deboli, non i governi. La dignità di un popolo non può essere affidata a chi imbraccia un fucile. C’è un interrogativo che dovremmo porci: verso quale futuro stiamo andando? Torniamo a chiederci chi è davvero l’uomo oggi e dove sta la sua dignità e libertà.
Leone XIV ha fatto riferimento alle “fake news”, che spesso giustificano l’inizio delle guerre e portano alla morte di tanti innocenti.
Quello del Papa è stato un intervento di grande ispirazione e speranza per tutti noi, con un richiamo tipicamente agostiniano alla veritas, dove cristologia e visione della storia si uniscono. Il tema della distorsione della verità è una preoccupazione radicata nel magistero degli ultimi Papi e il nuovo pontificato si colloca in perfetta continuità con la lezione dottrinale di Benedetto XVI e l’eredità pastorale di Francesco. Nel dilagare di ogni genere di notizia dentro la nostra vita iperconnessa, il nostro cuore appare come sempre più esposto al rischio della manipolazione: per questo siamo sempre più vulnerabili. Dietro allo schermo di un computer o con in mano un cellulare diventiamo potenziali aggressori e facili araldi di presunte verità. Alcuni assumono addirittura il ruolo di sicari.
Questa settimana, mentre il presidente della Nato, Mark Rutte, diceva testualmente che «dobbiamo essere pronti a soffrire e morire insieme», il mondo associativo cattolico in Italia lanciava l’idea di un ministero della pace. Che ne pensa?
È importante recuperare il nostro vocabolario, che è alternativo rispetto a quello del mondo. Non è un’opzione, ma un imperativo categorico che scaturisce direttamente dal Vangelo. Chi di spada ferisce, di spada perisce. È l’immagine di Gesù che riattacca l’orecchio a chi l’ha perso, affinché il nostro cuore torni a essere raggiunto da parole che si possano ascoltare. Parole di pace e di giustizia per tutti i popoli.
L’invito a non rassegnarsi alla deriva dell’odio deve partire dalle singole persone o dalle comunità?
Prassi comunitaria e prassi personale, secondo me, non vanno mai scisse. C’è un’azione di desistenza che riguarda tutti e ciascuno e che ci spinge a non accodarci alla retorica bellica prevalente. Per chi è credente, questo monito deve farsi poi testimonianza fraterna e preghiera, una sorta di gemito in cui manifestare una tensione orante per l’umanità. Manteniamo quella visione missionaria della Chiesa, come popolo convocato da Dio anche in questo tornante difficile della storia.
Il riarmo sembra ineluttabile, padre Bernardo, e il motto latino “si vis pacem, para bellum”, se vuoi la pace, prepara la guerra, è tornato a essere la cornice di tutti i discorsi istituzionali. Siamo dentro un destino segnato?
Si è creato un clima di assuefazione e ineluttabilità della violenza, è vero. La situazione si è deteriorata da quando anche l’Europa ha iniziato a parlare di armi. Ma le vere vittime sono i più deboli, non i governi. La dignità di un popolo non può essere affidata a chi imbraccia un fucile. C’è un interrogativo che dovremmo porci: verso quale futuro stiamo andando? Torniamo a chiederci chi è davvero l’uomo oggi e dove sta la sua dignità e libertà.
Leone XIV ha fatto riferimento alle “fake news”, che spesso giustificano l’inizio delle guerre e portano alla morte di tanti innocenti.
Quello del Papa è stato un intervento di grande ispirazione e speranza per tutti noi, con un richiamo tipicamente agostiniano alla veritas, dove cristologia e visione della storia si uniscono. Il tema della distorsione della verità è una preoccupazione radicata nel magistero degli ultimi Papi e il nuovo pontificato si colloca in perfetta continuità con la lezione dottrinale di Benedetto XVI e l’eredità pastorale di Francesco. Nel dilagare di ogni genere di notizia dentro la nostra vita iperconnessa, il nostro cuore appare come sempre più esposto al rischio della manipolazione: per questo siamo sempre più vulnerabili. Dietro allo schermo di un computer o con in mano un cellulare diventiamo potenziali aggressori e facili araldi di presunte verità. Alcuni assumono addirittura il ruolo di sicari.
Questa settimana, mentre il presidente della Nato, Mark Rutte, diceva testualmente che «dobbiamo essere pronti a soffrire e morire insieme», il mondo associativo cattolico in Italia lanciava l’idea di un ministero della pace. Che ne pensa?
È importante recuperare il nostro vocabolario, che è alternativo rispetto a quello del mondo. Non è un’opzione, ma un imperativo categorico che scaturisce direttamente dal Vangelo. Chi di spada ferisce, di spada perisce. È l’immagine di Gesù che riattacca l’orecchio a chi l’ha perso, affinché il nostro cuore torni a essere raggiunto da parole che si possano ascoltare. Parole di pace e di giustizia per tutti i popoli.
L’invito a non rassegnarsi alla deriva dell’odio deve partire dalle singole persone o dalle comunità?
Prassi comunitaria e prassi personale, secondo me, non vanno mai scisse. C’è un’azione di desistenza che riguarda tutti e ciascuno e che ci spinge a non accodarci alla retorica bellica prevalente. Per chi è credente, questo monito deve farsi poi testimonianza fraterna e preghiera, una sorta di gemito in cui manifestare una tensione orante per l’umanità. Manteniamo quella visione missionaria della Chiesa, come popolo convocato da Dio anche in questo tornante difficile della storia.
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