I pacifisti: «No a un settore marittimo militarizzato»
A La Spezia Acli, Rete Pace e Disarmo, Sermig e Chiesa battista in rivolta per Seafuture, la fiera che promuove l’export di armamenti: «Vogliamo la revoca del patrocinio»

«Non vogliamo che l’economia del mare venga fagocitata dalla presenza ingombrante della tecnologia militare», così Stefano Sarti, portavoce della Rete spezzina Pace e Disarmo, ci racconta una delle motivazioni che già da metà agosto hanno spinto le varie realtà pacifiste, alcune sigle sindacali, e poi anche molte associazioni laicali cattoliche e chiese riformate, a rivolgere un appello verso gli enti locali perché ritirassero il patrocinio a Seafuture, in programma dal 29 settembre al 2 ottobre prossimi all’Arsenale Militare Marittimo di La Spezia.
Organizzato da Italian Blue Growth in collaborazione con la Marina Militare, l’evento si tiene ogni due anni e si presenta come una mostra internazionale che esibisce tecnologie innovative nei settori marittimo, della difesa e del duplice uso, civile e militare. La nona edizione si appresta a essere una “business opportunity” per le imprese nazionali e locali, in particolare per quelle del “settore della difesa”, e assume rilevanza internazionale attraverso l’invito alle Marine Militari e alle delegazioni di oltre 140 Paesi, tra i quali figurano anche regimi repressivi e Stati coinvolti in conflitti. «In prima battuta abbiamo chiesto agli organizzatori di ritirare l’invito alla Marina Militare e alla Delegazione Nazionale dello Stato di Israele. Poi abbiamo scritto agli enti locali perché, in caso contrario, revocassero il patrocinio al Seafuture. Davanti a tutto quello che sta succedendo in Palestina ci è sembrato l’argomento principale», spiega Sarti. Subito dopo è emerso che la Marina Militare di Israele avrebbe comunicato al ministero della Difesa italiano che non parteciperà al salone navale-militare, ma per la rete pacifista la questione rimane aperta: «Non ci è sembrato sufficiente, dato che l’invito non è stato ritirato, e ci siamo di nuovo rivolti alle amministrazioni pubbliche per chiedere la revoca del patrocinio all’evento».
Finora né gli organizzatori, né le istituzioni locali – tra cui Regione Liguria e i Comuni spezzini interessati – hanno risposto all’appello, nonostante il tema sollevato non riguardi solo il caso israeliano, ma la natura stessa dell’evento. «Per noi è problematico che una mostra navale come Seafuture metta insieme la tecnologia e l’economia militare con quelle civili, come quelle legate alla tutela del mare, la ricerca marittima e una produzione rispettosa dell’ambiente. Vorremmo che gradualmente si puntasse di più su questi segmenti anziché su un’economia di guerra», precisa. Per Sarti scommettere così tanto sull’industria militare è un danno anche per il futuro del territorio. Infatti, nonostante negli anni la vocazione militare della zona si sia ridimensionata, il settore rimane ancora predominante nell’economia spezzina: «I rischi di questa mancata diversificazione li conosciamo già. Li abbiamo visti negli anni ’90, quando ci fu un periodo di crisi legata anche al calo di commesse. Ora il settore militare va bene, ma se poi ci ritroviamo con un cambio di orientamento, che facciamo?». Seafuture diventa dunque un tassello importante, non solo per auspicare una svolta pacifista, ma anche per innescare un dialogo con le istituzioni e ripensare il futuro della Spezia: «Il silenzio è davvero assordante. Ci auguriamo che si possa iniziare a parlare apertamente di questi argomenti, che diventino centrali nelle assemblee cittadine».
Tra le varie realtà che si sono unite all’appello della rete ci sono le Acli. «Pur riconoscendo l’importanza dell’innovazione tecnologica e del dialogo tra attori pubblici e privati, riteniamo fondamentale ricordare che ogni progresso dovrebbe essere messo al servizio della pace, della cooperazione tra i popoli e della salvaguardia del bene comune», ci dice Marco Formato, presidente provinciale delle Acli della zona. «La Spezia, città di mare e di accoglienza, deve poter essere simbolo di pace e non teatro di promozione degli armamenti – commenta ancora Formato –. Come cittadini e come associazione cristiana, chiediamo con forza che la vocazione del nostro territorio sia quella di un porto di pace, aperto al Mediterraneo e al mondo, promotore di sviluppo sostenibile, giustizia sociale e convivenza civile, un porto che accoglie tutti».
Nel mondo cattolico a firmare l’appello è stata anche la Betania Sermig di La Spezia (Servizio Missionario Giovani). «Con tutte le altre associazioni cristiane firmatarie vogliamo testimoniare la forza del messaggio evangelico con azioni concrete», motiva il suo presidente, Giovanni Ricchetti. In questo momento di triste convivenza con più di 50 guerre nel nostro mondo, «non possiamo tacere su questo mercanteggiare strumenti di guerra pensando esclusivamente al profitto e al lavoro». La preoccupazione, aggiunge, è che questa commistione tra profitto e perdita di vite innocenti diventi qualcosa di accettato e di normale e come tale venga trasmesso alle nuove generazioni, «coinvolgendole in modo ambiguo in programmi di studio, senza parlare loro chiaramente di percorsi di pace e di nonviolenza».
I temi dell’educazione, della conversione della parte militare a civile e i segnali che vengono dati ai giovani non preoccupano solo i cattolici. «Ci auguriamo che Seafuture torni alla sua missione originale, una manifestazione dedicata all’innovazione, la ricerca lo sviluppo delle tecnologie civili che riguardano il mare, per promuovere la sostenibilità ambientale e sociale», conclude invece Sandra Spada, pastora della Chiesa battista di La Spezia e, assieme agli altri firmatari di uno dei comunicati inviati alle istituzioni locali, membro del gruppo “Cristiani per la pace”. Per Spada l’auspicio è altresì «che le scuole non vengano coinvolte senza un’attenta informazione e formazione pluralistica sul significato dell’evento». Queste realtà cristiane, sintetizza infine Spada, di fronte a quello che sta accadendo nella scena internazionale scelgono di non tacere perché è anche «una responsabilità che abbiamo nei confronti del mondo che ci ospita».
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