Cambia ancora la mappa dei nuovi dazi di Trump, in vigore dal 7 agosto

La scadenza del primo agosto per raggiungere nuovi accordi con il governo Usa è stata prorogata di 7 giorni. Taiwan sale al 20%, Canada al 35%
July 30, 2025
Cambia ancora la mappa dei nuovi dazi di Trump, in vigore dal 7 agosto
ANSA |
Aggiornamento del 1° agosto

Poche ore prima che i dazi a lungo minacciati dal presidente Usa Donald Trump su decine di Paesi entrassero in vigore questa mattina 1° agosto, la Casa Bianca ha compiuto un ulteriore passo avanti nel suo piano per riorganizzare il commercio globale. Washington ha diffuso infatti nuove tariffe per diversi partner commerciali degli Stati Uniti e fissato una proroga all'entrata in vigore degli stessi dazi che entreranno in vigore alla mezzanotte del 7 agosto.
Nella lista pubblicata la scorsa notte dalla Casa Bianca si precisa, inoltre, che le merci importate da ogni nazione del mondo saranno soggette a una tariffa del 10%, ad eccezione dei beni provenienti dai 92 paesi elencati in un allegato, che sono soggette a tariffe più elevate. Il dazio più alto riguarda i prodotti provenienti dalla Siria, che saranno tassati al 41%. Penalizzato il Canada con un aumento dal 25% al 35%, "in risposta alla continua inazione e alle ritorsioni di Ottawa". Punita anche la Svizzera con una tariffa più alta di quella dichiarata il 2 aprile, al 39%, così come Taiwan, al 20%. Tra gli Stati più penalizzati anche il Sudafrica al 30% e la Serbia al 35%.
Oltre alle nuove tariffe stabilite per ciascun Paese, l'ordine esecutivo di Trump stabilisce anche un dazio del 40% su qualsiasi merce che le dogane Usa ritengano essere stata "trasbordata" per evitare misure più elevate altrove. Ciò avviene principalmente quando merci prodotte in Cina vengono spedite in un altro Paese e riconfezionate.
Posto che, come ripetono da mesi tutti gli analisti, in una guerra commerciale finiscono con il perderci tutti, considerata la differenziazione dei dazi applicata da Donald Trump c’è sicuramente chi, a livello globale, perde (o, viceversa, limita i danni) più di altri. Se infatti l’Unione Europea vedrà tassate le proprie merci esportate negli Usa di una tariffa di ingresso al 15%, pur con tutte le esenzioni ed eccezioni ancora da dettagliare, c’è chi, come la Gran Bretagna, è riuscita a strappare un dazio più favorevole, al 10%, e chi, come il Brasile, si è visto affibbiare il 50%, e non solo per motivi economici. Tariffe più basse, per le aziende, significano evidentemente la possibilità di mantenere livelli di prezzo più accettabili sul mercato americano e quindi la possibilità di sottrarre quote di mercato alle imprese concorrenti di altri Paesi più penalizzati.
Nello specifico - dopo il Liberation day di aprile in cui Trump, lavagnetta in mano, aveva annunciato Paese per Paese soglie di dazi Usa molto alte – la Casa Bianca ha raggiunto molte intese commerciali bilaterali, a partire da quella con la Gran Bretagna. La tariffa al 10% ottenuta da Londra è tra le più favorevoli, ma si tratta di un dazio aggiuntivo alle tasse doganali già in vigore, quindi non “flat” come il 15% applicato alle merci Ue. Il 10% verrà applicato anche ai primi 100mila veicoli esportati da Londra negli Usa (corrispondenti alla quota attuale), ma oltre tale soglia la tariffa per l’automotive briannico salirebbe al 25%.
In Asia il Vietnam è tra i Paesi a cui Trump aveva inizialmente assegnato i dazi più alti, addirittura al 46%. Negli anni l’export dal Vietnam verso gli Usa è notevolmente aumentato: molte grandi aziende di calzature, abbigliamento ed elettronica, come Nike ed Apple, producono qui i loro prodotti per il mercato americano. Per molte imprese produttrici, il trasferimento in Vietnam è stato anche un modo per evitare i dazi alle merci provenienti dalla Cina del primo mandato Trump. Il presidente Usa ha così voluto colpire lo squilibrio commerciale con Hanoi, che però è comunque riuscita nelle scorse settimane ad ottenere un accordo sui dazi al 20%.
Un po’ meglio è andata al Giappone, quinto partner commerciale in assoluto per Washington con esportazioni di merci negli Usa pari a 140miliardi di dollari, il 25% dei quali frutto delle vendite legate all’automotive. Tokyo ha raggiunto un accordo per i dazi Usa al 15%, un’intesa non vista di buon occhio soprattutto dall’industria automobilistica statunitense.
Molto peggio, per ora, è andata all’India, nonostante i vecchi buoni rapporti tra Trump e il premier Narendra Modi. New Delhi subirà un dazio Usa del 25%, anche a causa delle sue elevate barriere commerciali. Non solo: il capo della Casa Bianca, nell’annunciare le tariffe sui beni indiani, ha parlato di una non meglio precisata “penalità” assegnata a New Delhi per l'acquisto di armi ed energia da Mosca, "in un momento in cui tutti vogliono che la Russia fermi i massacri in Ucraina".
Tra gli altri Paesi asiatici, invece, Filippine e Indonesia hanno raggiunto un accordo con Washington di dazi al 19%, dopo minacce di soglie più pesanti. Intesa anche tra Usa e Corea del Sud, con dazi al 15% per le importazioni di beni negli Usa, oltre a 350 miliardi di dollari di investimenti sudcoreani negli Stati Uniti e acquisti per 100 miliardi di dollari di energia americana per Seul. Anche in questo caso, la prima minaccia di dazi Usa era superiore, con tariffe al 25%.
Thailandia e Cambogia, che hanno concordato un cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti per la disputa sui confini, hanno accolto con favore la riduzione dei dazi Usa sui loro prodotti al 19%, rispetto al 36% precedentemente annunciato.
Dazi al 20%, invece, per le merci in arrivo negli Usa da Taiwan (dopo un'ipotesi iniziale al 10%). Taiwan è un grande produttore di semiconduttori ed elettronica in generale. La tariffa al 20% sarebbe "temporanea": dopo quattro round di negoziati e numerose videoconferenze, Taipei e Washington stanno ancora cercando di raggiungere un accordo.
Resta ancora da risolvere il grande nodo dell’accordo statunitense con la Cina: al momento tutto è in pausa fino al 12 agosto, mentre si continua a trattare in vista di un’eventuale ulteriore sospensione. Dopo la minaccia di dazi alle merci cinesi al 45%, si potrebbe tornare senza la una proroga di una nuova tregua al 34% di aprile, a cui si aggiungerebbe un ulteriore 10%.
Tra i Paesi a cui Trump ha alzato i dazi c’è il Brasile: il capo della Casa Bianca ha infatti firmato un decreto per imporre dazi aggiuntivi del 40% ai prodotti brasiliani, portandoli ad un totale del 50%. Nelle ultime settimane Trump aveva minacciato il Brasile che avrebbe adottato questa misura come punizione per quella che ha definito una ''caccia alle streghe'' contro il suo alleato di estrema destra, l'ex presidente Jair Bolsonaro. Il presidente brasiliano Lula, da parte sua, ha detto che non si piegherà ai diktat della Casa Bianca: certo è che le esportazioni brasiliane verso gli Usa nelle ultime settimane sono crollate.
Con l’Unione Europea, l’accordo raggiunto domenica scorsa da Trump è di una soglia di dazi al 15%, anche per le automobili, che fino ad ora pagavano il 27,5%. Il 15% “flat” concordato con l’Ue è una percentuale dimezzata rispetto all'iniziale 30% paventato da Washington. Resta il dazio del 50% su acciaio e alluminio, mentre per alcune categorie di beni si prevedono esenzioni, anche se mancano dettagli definitivi. Come parte dell'accordo, l'Ue acquisterà dagli Stati Uniti energia per un valore di 750 miliardi di dollari, ha annunciato Trump, e ha accettato di investire negli Stati Uniti 600 miliardi di dollari in più rispetto agli attuali.

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