A 15 anni schiava sulla strada. «Una notte tra i clienti vidi un prete... »

Marija, attratta dalla Moldavia, torturata e costretta a prostituirsi, «ero uno scheletro pieno di lividi, perché nessun uomo italiano ha avuto pietà?», poi la salvezza. Legalizzare? «No, è schiavitù»
April 20, 2025
A 15 anni schiava sulla strada. «Una notte tra i clienti vidi un prete... »
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«Sono partita per l’Italia di nascosto dai miei genitori perché volevo aiutare i miei fratelli. Siamo cinque figli e io sono la più grande, mamma e papà non avevano un lavoro, spesso in casa non c’era da mangiare e nessuno di noi andava a scuola... Così ho deciso che i soldi a casa li avrei mandati io e sono salita su quella macchina verso l’Italia. Avevo 15 anni e tanta speranza, non sapevo che sarei stata venduta e torturata dagli uomini italiani come un animale al macello...».
Marija oggi ha 19 anni, il suo sogno diventato presto incubo era iniziato in Moldavia il giorno in cui ad un’amica (così la chiama) più grande di lei aveva chiesto come facesse ad avere sempre tanto denaro e lei, con tenerezza, le aveva offerto aiuto: «Ti porto io in Italia, da lì potrai aiutare la tua famiglia, avrai soldi tutti i giorni, ma non dovrai dire a nessuno della partenza, sei piccolina, devo farti documenti falsi».
Era agitata Marija, sapeva che i genitori l’avrebbero aspettata invano quella sera, ma era anche eccitata per la sua impresa. «Dell’Italia non sapevo assolutamente niente, solo quello che si vedeva in televisione, quindi mi perdoni se non so dirle da quale confine siamo entrate – si giustifica – ero una bambina e non capivo dove fossimo, so solo che viaggiammo tre giorni e tre notti in macchina, passammo vari confini, credo che prima di entrare in Italia siamo entrate anche in altri Paesi, forse in Francia, infine ricordo le forze dell’ordine che guardavano il mio documento e senza domande ci davano il via libera. Solo quando siamo arrivate a destinazione, la mia amica mi ha detto che ora dovevo pagarle il viaggio e i documenti. Io le ho chiesto dove dovessi andare per iniziare il lavoro con cui, mi aveva promesso, avrei avuto i soldi da mandare a casa, ma lei divenne cattiva e mi disse che erano problemi miei e dovevo darle 45mila euro, altrimenti mi avrebbe uccisa. C’era solo una soluzione, diceva: dovevo prostituirmi! Proprio così mi disse, prostituirmi. Mi sentii morire. A 15 anni io non sapevo nulla, ovviamente non avevo mai avuto un rapporto con un uomo e piangevo disperata, dicevo no, no no...».
Com’è andata a finire è facile intuirlo, da una parte “l’amica”, la ragazza più grande, procacciatrice di sempre nuove vittime da buttare nel mercato del sesso come trastullo per uomini feroci, dall’altra una «bambina di 15 anni» (come ripete spesso, con autentica disperazione), braccata, sola, prigioniera, in un Paese straniero. «Mi portò al bordo di una strada di notte e lei si mise a camminare sull’altro lato, fingendo di parlare al telefono, in realtà controllava me. Ma alle macchine che si fermavano chiedendomi quanto costavo io dicevo solo no, no, non volevo salire. Così lei mi ha preso per i capelli e mi ha riportata a casa, dove con un bastone mi ha dato tante botte. Io la supplicavo di rimandarmi a casa mia, dicevo che anche in Moldavia sarei diventata grande e avrei trovato comunque il modo di aiutare i miei, ma lei mi chiudeva a chiave e poi di nuovo apriva e mi calpestava. Ha presente come calpestiamo un mattone per spezzarlo? Fumava molto e spegneva le sigarette sulle mie spalle (ci mostra le cicatrici indelebili, ndr), non teneva più conto che eravamo state amiche e delle sue promesse. Avevo un po’ di pace solo la notte quando dormiva, allora stavo seduta in un angolo della stanza, come un pulcino nell’uovo. Dopo una settimana ho ceduto e sono andata sulla strada».
È un’intervista difficile per tutti, per Marija e per chi ascolta l’affanno nella sua voce quando ripercorre, per noi, un passato ancora molto presente. Spesso il pianto la costringe a interrompere il racconto, ma il non detto parla, anzi urla, più di tante parole. Uno scheletro, così definisce la Marija della sua prima notte da «ragazza di strada, si può dire?». Era coperta di lividi, con chiazze di capelli strappati, «si vedeva che non ero una bambina normale, e allora perché gli uomini italiani, i clienti, non mi hanno mai aiutata? Giovani o anziani, si fermavano e nessuno, proprio nessuno mi ha chiesto se avevo bisogno, se stavo male. Non si mettevano nei panni della loro figlia, pensando che potevo essere lei?». Non lo facevano e questo ancora l
Sono stati due eterni anni di dolore, schifo, spossatezza. Il primo cliente? «Lui non lo ricordo, ma ricordo la cosa più feroce nella vita, avere a 15 anni il primo rapporto con una persona che non si ama, un uomo che non si conosce e che ti sta utilizzando senza provare nessun sentimento per te, nemmeno la pietà. Sono arrivata ad avere decine di clienti per notte, scendevo da un’auto e salivo su quella in attesa, ha presente nei negozi la gente in fila per fare la spesa?». L’“amica” a fine giro contava quanti preservativi le restavano in borsa e ritirava tutto l’incasso, quei maledetti soldi per i quali Marija era finita all’inferno. Soldi insanguinati e sporchi, al punto che oggi puntualizza con foga: «Mai, assolutamente mai, ho mandato un euro a casa!». In Moldavia i suoi genitori l’avevano cercata ovunque, avevano chiesto ai vicini, in passato Marija si era già allontanata, era andata da qualche amica per trovare un piatto caldo, ma poi era sempre rientrata. Quella volta però era sparita nel nulla, almeno finché l’“amica” non li aveva rassicurati, o forse minacciati: che non cercassero Marija, era andata in Italia a stare bene, l’aveva portata lei stessa, aveva un lavoro come si deve... «Non hanno mai saputo la verità – abbassa gli occhi –, anche adesso li chiamo di rado per proteggere sia loro che me stessa, guai se la ragazza attraverso i miei fratelli scoprisse dove sono oggi, la farebbe pagare a me e a loro...», dice con paura evidente.
Già, perché l’incubo di Marija è finito una notte, proprio quando lei credeva che ne iniziasse uno peggiore: «In una macchina si sono fermati non uno ma tre uomini insieme. E uno era un prete. Quando l’ho visto ho detto “Dio mio, no, ti prego, anche un prete adesso?”. Lui ha tirato giù il finestrino e invece del prezzo mi ha chiesto “quanto soffri?”. Quando ho sentito questa parola, è stato come se io stessi abbracciando i piedi di Dio, dopo due anni per la prima volta una persona si occupava di me e ho pregato il Signore, grazie che mi hai mandato qualcuno a salvarmi. Ma ero terrorizzata e ho detto al prete per favore di andare via, che ero controllata e non potevo parlare con lui se no domani sarei stata morta. Lui ha capito e la macchina si è allontanata. Per me era finita, così credevo».
Ma don Aldo Buonaiuto, sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, non è tipo che demorde. È tornato un’altra notte e Marija era ancora lì. «Vieni via con me», le ha proposto semplicemente. Uno sguardo alla strada, il cuore che batte per il salto nel vuoto, poi la decisione presa al volo: «Ho visto che la ragazza in quel momento non c’era e sono corsa in macchina, di nuovo mi sono fatta piccola come il pulcino nell’uovo sul sedile dietro e ho supplicato di portarmi via». Nel suo racconto l’accento dell’Est europeo e quello romano si fondono insieme, perché da allora vive a Roma nella casa di accoglienza in cui la Papa Giovanni XXIII dà rifugio alle ex prostituìte (prostituìte da altri, come diceva don Benzi: nessuna donna nasce prostituta, c’è sempre qualcuno o qualcosa che la fa diventare). Appena è arrivata in comunità Marija si è trovata tra altre dieci ragazze salvate, «ero contenta perché stavano bene, alcune parlavano la mia lingua... ho capito che non ero più una schiava, la mia schiavitù era finita. Sono qui da due anni e mezzo e per ora ho studiato l’italiano, ma soprattutto sto imparando di nuovo a vivere», sorride per la prima volta.
Schiavitù è una parola che ripete con forza. «Sento dire alla televisione che si vorrebbe legalizzare la prostituzione come mestiere normale, ma per favore no, voi non sapete: che il corpo di una donna sia a disposizione per tanti uomini non è un lavoro, è sempre schiavitù». Nemmeno se regolamentare volesse dire garantire alle prostitute il loro guadagno e... «Mi scusi se non le lascio finire la domanda. Uomini che ti prendono in affitto per un’ora e si passano il tuo corpo uno dopo l’altro, che non hanno interesse per cosa tu senti dentro, non è un lavoro. Io purtroppo non ho più fiducia nell’essere maschile, con quello che ho vissuto per me sono tutti uguali, non posso ancora fidarmi». Non di don Aldo, però, e di don Oreste Benzi, che è morto più o meno quando lei nasceva ma che ama come lo avesse conosciuto, «ha salvato migliaia di schiave, ha fatto tanto del bene e continua farne».
Marija ora è alla fine del percorso in comunità e presto spiccherà il volo, «sboccerà in una vita nuova» come dicono i volontari, che lei e le altre ragazze chiamano mamma e papà: a breve la accoglierà una famiglia, oppure continuerà il suo cammino di autonomia, in una casa sua e con un lavoro, «un lavoro vero. Non so bene cosa vorrei fare da grande – afferma lei, che ancora si sente bambina perché bambina non lo è stata mai –, ma quando sarò una persona adulta, cioè avrò superato i miei traumi, vorrei aiutare il mio prossimo. È la sola certezza che ho».

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