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Le nostre città senza più il gioco dei bambini

Alfonso Berardinelli venerdì 27 gennaio 2023
La settimana scorsa, in questa rubrica, ho detto due parole sulla quasi totale sparizione dei giocattoli a vantaggio di aggeggi digitali e videogiochi. Trovo triste e negativo questo fenomeno per l’educazione psicofisica dei bambini. Per associazione mentale ovvia mi è poi venuto in mente che non si vedono quasi più, se non nei più grandi giardini, dei bambini che giocano fra loro di loro libera iniziativa. Esistono dovunque, e prima non c’erano, certi spazi precisamente assegnati e delimitati come parcogiochi, dovuti a iniziativa municipale. Sono bene attrezzati, ma al di là dei loro confini non si vedono in giro bambini che giocano. Trovo anche questo piuttosto triste, più o meno di quanto sarebbe un cielo senza uccelli o uno spazio abitato senza suono di campane. Da ragazzino ho giocato molto e da adolescente ero sempre in giro con qualche amico nel mio quartiere, un quartiere che mezzo secolo fa si usava ancora definire “popolare”, come Testaccio a Roma sud. Le bambine giocavano “a campana” (o “a pampano”, come dice mia moglie che è ligure). In quartieri più “signorili” di bambini nelle strade e nelle piazze se ne vedevano meno, forse perché nelle famiglie borghesi i bambini erano allora più controllati. Ma nelle zone urbane più densamente popolate l’infanzia circolava molto e dovunque, strade, piazze e cortili. Così deve essere stato per secoli e per millenni. La strada era un luogo in cui si cresceva e si imparava: anche a difendersi fisicamente, perché i teppistelli e i bulletti ci sono sempre stati e ogni tanto bisognava saperli affrontare o neutralizzare, da soli o in gruppo. Per questo si vedevano spesso adolescenti lottare per scherzo fra loro, come fanno i cuccioli di molti mammiferi: un gioco che era anche un allenamento. È nei primi grandi pittori realisti come Bruegel che si vedono scene gremite di adulti che lavorano e bambini che giocano, in spazi innevati che danno all’insieme qualcosa di fiabesco. Fra le scene di atroce sofferenza e deformità, i bambini continuano a giocare. Lo nota anche Auden in una delle sue più famose poesie dedicata a Bruegel, Musée des Beaux Arts: il dolore e il martirio avvengono mentre qualcun altro è assorto nel suo lavoro e i bambini vanno in pattini sul lago ghiacciato. © riproduzione riservata