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Il bene della terra in ciò che mangiamo

Alfonso Berardinelli venerdì 4 gennaio 2019
Restiamo terra terra, parliamo per un momento di cibo. Intendo, per il momento, di alimento materiale, mettendo fra parentesi quell'alimentazione culturale e magari spirituale di cui si parla pochissimo ma da cui dipende la salute dei nostri cervelli, pensiero, consapevolezza, conoscenza e responsabilità. La materia, tuttavia, ha a che fare con lo spirito e l'uso che facciamo della mente si vede dall'uso del corpo, dei corpi, nel tempo e negli spazi fisici. Un ambiente fisico corrotto è frutto di corruzione sociale e trasmette a chi lo abita corruzione mentale e morale. Oggi pretendiamo di conservare e migliorare la salute del nostro corpo facendo del male alla salute dell'ambiente naturale del pianeta nel quale siamo nati e viviamo. Ma la natura in noi e fuori di noi è la medesima natura: chi la distrugge dentro, la distruggerà anche fuori, e viceversa. È vero che negli italiani di oggi, scettici, sconsolati, pessimisticamente passivi, il culto del cibo è diventato un'espressione lampante di egoismo e grettezza. Ma se ci si riflette un momento, si potrebbe passare dall'autodifesa attraverso la qualità del cibo alla difesa dell'ambiente, della terra nella quale produciamo il cibo. Un libro recente di Piero Bevilacqua, Il cibo e la terra (Donzelli, pagine 215, euro 13,00) si parla di «agricoltura, ambiente e salute negli scenari del nuovo millennio». All'inizio del Duemila, dice l'autore, si parlò allarmati dell'epidemia della “mucca pazza”, provocata da pessimi metodi di zootecnica; ma le cause di quel fenomeno non sono state eliminate, si sono anzi rafforzate. Nell'agricoltura e nell'allevamento il gigantismo industriale continua a fare danni con metodi di produzione agroalimentare che portano «sulla nostra tavola beni alimentari rischiosi» minacciando sempre di più gli equilibri di quell'ecosistema globale che è la Terra. «Immense monoculture di mais e soprattutto di soia, concimate e diserbate chimicamente, nelle vaste pianure dell'Argentina, del Brasile, degli Stati Uniti destinate alla nutrizione di miliardi di capi di bestiame, costituiscono uno dei capisaldi del modello che alimenta il consumo di carne dell'Occidente». Un modello di produzione del cibo che «lascia in condizioni di fame estrema oltre 800 milioni di individui e manda al macero ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, quanto basterebbe per sfamare 3,5 miliardi di persone». Il libro si conclude con una lode della varietà e qualità dei nostri beni agricoli e con un invito a difendere e promuovere i vantaggi della tradizione agricola italiana. Vedremo se questi vantaggi li meritiamo ancora.