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I cattolici imparino dagli errori della Dc

Goffredo Fofi venerdì 18 ottobre 2019
Si legge e si sente parlare sempre più spesso di un ritorno dei cattolici alla politica, o almeno di quella parte di cattolici che hanno imparato molto dal fallimento del modello Democrazia cristiana, un partito nato in modi più che degni, ma che finì per negarsi e arenarsi nel gusto del potere e per la quantità di alcuni elementi che lo caratterizzarono. Ci si augura che se questi discorsi porteranno a dei fatti, ci si debba confrontare con un'organizzazione messa in piedi da quei cattolici che hanno ben ragionato (magari da sconfitti) sulla storia di ieri e con le idee molto chiare sulle urgenze del presente e decisi a spendersi perché l'umanità possa avere ancora un futuro, intervenendo rapidamente finché si è ancora in tempo sui temi che il mondo odierno impone: ecologia anzitutto, e preoccupazione "pedagogica" per il futuro e le nuove generazioni, e salute delle istituzioni. È uscito di recente presso Sellerio un saggio di Marco Follini che si intitola proprio Democrazia cristiana. Il racconto di un partito, e che chiarisce piuttosto bene il "garbuglio" che la Dc è stata per smania di coprire tutto, di non accettare davvero di essere parte. Chi pensa a un partito futuro farebbe bene a leggerlo. È uscito anche, con tutt'altro linguaggio, un nuovo romanzo di uno dei pochi veri scrittori che possiamo oggi vantare, Davide Orecchio, Il regno dei fossili (il Saggiatore) che recupera, fin troppo, modi da avanguardie di ieri per parlare di un mondo che è stato e che, bensì, persiste. Uno dei protagonisti di questo romanzo bello e contorto è Andreotti, emblema di un modo di far politica che nel libro ha però di fronte una figura ben diversa dalla sua, che è quella di Moro. Due anime dello stesso partito. Da chi c'è da imparare qualcosa in positivo per l'oggi, e per il domani? Si dovrebbe trattare oggi di agire in un mondo diverso avendo davanti un nuovo sistema di potere con cui confrontarsi e con cui battersi, non accettandolo. Chissà se qualcuno avrà mai, in politica, questo coraggio! Nell'introduzione al numero della rivista "Servitium", dedicato a Quali profeti oggi?, leggo una descrizione del "profeta" di cui i curatori pensano che avremmo bisogno: «Un personaggio scomodo, senza peli sulla lingua, incurante delle simpatie dell'uditorio» perché «chi non è, ma fa il profeta è un falsario» e non è altro che «un tipo psicologico, che fa notizia e ama farlo sapere». Peggio ancora, viene da aggiungere, quando gente di questa risma si mette a fare politica. Ne abbiamo visti, in questi anni, di nefasti profeti che miravano a comandare consolando invece di mettere in crisi e costringere a ragionare e a lottare, contro il potere e per un mondo migliore. Prima che sia troppo tardi.