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Canto di grazie

Roberto Mussapi domenica 24 marzo 2019
«I grandi Elementi che conosciamo sono in verità una consolazione per noi: il Cielo aperto posa sui nostri sensi come una Corona di Zaffiri, l'aria è il nostro Abito da Parata, la Terra è il nostro trono e il Mare un possente Menestrello che suona per lei, capace come l'Arpa di Davide con la malia di allontanare i Cattivi Spiriti dalle creature come me, capace come Ariel di far dimenticare a una come te quasi del tutto le tempestose cure della Vita». In una lettera indirizzata a un'amica, John Keats esprime la quintessenza della poesia intesa come lode e ringraziamento alla vita. Keats è uno dei massimi poeti romantici e in assoluto, morirà giovanissimo di tisi a Roma, dove si recò cercando di lenire con il clima mediterraneo i sintomi del male, allora incurabile. Era laureato in medicina, conosceva bene il suo destino. Eppure tutta la sua poesia, come le sue lettere, è una testimonianza di amore assoluto per la vita e di ringraziamento al creato. La poesia non è solo lettura drammatica del mondo, pensiamo a Leopardi. Ma è anche, e forse è in origine, quel canto di ringraziamento che si muta in inno al sole, alla luce, alla terra, al suono del mare. Insomma quel grido gioioso che ha il suo vertice nel Cantico delle creature di Francesco. Rispetto a cui Keats mi colpisce maggiormente: non è un Santo.