Opinioni

Le seconde generazioni . Viaggio alle origini di Luna nella «Milano» del Marocco

Giorgio Paolucci sabato 3 novembre 2018

Luna con alcuni zii e cugini nella sua casa natale di Beni Mellal (G. Paolucci)

«Loubna, piccola mia! Sei tornata, finalmente». È un abbraccio commosso e commovente, un abbraccio che non vuole finire mai, quello tra Satoma, bisnonna centenaria, e la giovane donna arrivata dall’Italia. Il cielo regala un tramonto multicolore dalla finestra della casa di uno dei quartieri più poveri di Benj Mellal, città del Marocco profondo ai piedi dei monti dell’Atlante, capolinea di una catena migratoria che in trent’anni ha visto partire decine di migliaia di migranti verso l’Europa. Tra di loro c’erano anche i genitori di Loubna El Maataoui, che nel 1997 arrivarono a Parma portando con loro una bambina di pochi mesi che oggi ha vent’anni, frequenta l’università a Milano e si esprime in un italiano con evidenti inflessioni emiliane.

Dopo anni di assenza dal Marocco, la ventunenne Loubna ha deciso di tornare per rivedere i parenti, per assaporare di nuovo i colori e i sapori della terra in cui è nata, per ritrovare le sue radici. E noi l’abbiamo accompagnata in questo viaggio, per capire di più cosa vuol dire essere figli di due mondi e non sentirsi stranieri in nessuno dei due. I genitori le hanno dato un nome che in arabo significa 'ambra', come il colore della sua pelle, ma poi hanno preferito chiamarla Luna. A chi le chiede se si sente più marocchina o più italiana, lei risponde: «Sono semplicemente Luna». Non per aggirare la domanda, ma perché rifiuta di spaccarsi in due, di appiattire un’esistenza che si è consolidata nel segno della contaminazione, e per testimoniare che nella sua vita hanno preso dimora due culture che convivono armoniosamente arricchendosi a vicenda.

Nella piccola sala della bisnonna, davanti all’immancabile tazza di the, siedono zii e cugini convenuti per il ritorno di Luna. E anche in questa stanza c’è un po’ d’Italia. Zio Rachid ha abitato tra Parma e Mantova per otto anni lavorando come muratore, poi è tornato in Marocco dove vive con la moglie e due splendide bambine. Zio Fouad ha preso il mare per tre volte per raggiungere il nostro Paese, e per tre volte la polizia spagnola l’ha rimandato indietro. I loro racconti sono pagine di un grande libro scritto da tanti connazionali partiti in cerca di fortuna dal distretto di Benj Mellal. A pochi chilometri da qui c’è la città di Fquih Ben Salah, soprannominata «La petite Milano», che da borgo contadino si è trasformata in un centro moderno grazie soprattutto al denaro inviato da chi era partito per il capoluogo lombardo. Da queste parti quasi ogni famiglia ha almeno un componente coinvolto nell’emigrazione in Italia, e molti sono i caffè con nomi italiani. Ma su tutto continua a dominare la pervasività della fede musulmana, evidenziata dai minareti che popolano l’orizzonte di paesi e città, dai versetti coranici riprodotti nei quadri appesi alle pareti di ogni casa, dalle piccole moschee costruite perfino negli autogrill disseminati sulle strade.

Finalmente l’acqua potabile. Il 'viaggio alle radici' intrapreso da Luna prosegue verso Souk El Had, una zona abitata da contadini dove la povertà appare in tutta la sua drammatica evidenza. Davanti alla casa di Aisha, la nonna paterna, una squadra di operai sta installando le condutture per portare l’acqua potabile. «Finalmente, la aspettavamo da tanto tempo», sospira lo zio Charky, che mantiene la famiglia coltivando un fazzoletto di terra e gestendo un baracchino dove vende di tutto. Nel vecchio cimitero distante pochi chilometri è sepolto il padre di Luna, Abdelmalek, morto prematuramente tre anni fa. Davanti alla sua tomba la figlia prega e si abbandona a un pianto pieno di malinconia, mentre deterge il luogo della sepoltura con l’acqua secondo l’usanza musulmana. Per lei, cresciuta fin da piccola in Italia, il padre è stato determinante nella costruzione di quella che chiama 'identità arricchita'. «Ogni estate trascorrevo le vacanze in Marocco con lui e la mamma, mi ha fatto conoscere questa terra in lungo e in largo, mi ha trasmesso l’orgoglio per la nostra cultura e la nostra religione, e insieme il rispetto per le leggi e la cultura italiane, che ormai sono parte integrante della mia persona». Da nove anni ha ottenuto la cittadinanza italiana e si considera una ragazza delle 'nuove generazioni', l’universo di giovani nati in Italia da genitori migranti o nati all’estero ma cresciuti in quello che considerano il loro Paese. Ha raccontato la sua storia in un video della mostra dedicata a questo tema che, dopo la presentazione al Meeting di Rimini, è stata allestita in decine di scuole per raccontare i successi e le fatiche dei 'nuovi italiani', i volti giovani di un’Italia sempre più multietnica.

I colpi della crisi economica che si sono abbattuti sul nostro Paese hanno indotto migliaia di migranti a rientrare in Marocco, ma sono ancora molti i giovani che coltivano il sogno italiano. Troppo grande è il divario tra i livelli di vita dei due Paesi per cancellare del tutto i progetti di trasferimento in Italia. Quella marocchina è una delle comunità più radicate, arrivata ormai alla terza generazione. Conta 417.000 persone, l’8 per cento degli stranieri residenti nel nostro Paese, terza in classifica dopo romeni e albanesi, con oltre 100mila studenti iscritti nelle scuole. A loro vanno aggiunte decine di migliaia di persone che, come i genitori di Luna, hanno ottenuto la cittadinanza italiana e l’hanno trasmessa ai loro figli.

Youssef, esperto in dialetti. A Marrakech, una delle tappe del suo viaggio alle radici, Luna incontra Youssef, arzillo ottantenne con il volto attraversato dalle rughe e gli occhi chiari che denunciano le origini berbere, che porta sulle spalle trent’anni di commercio ambulante in decine di città italiane. Nella sua bottega che si affaccia sulla Jemaa El-Fna, la variopinta piazza che ogni sera è affollata di turisti, racconta il suo percorso lavorativo da Catania ad Aosta, durante il quale ha imparato la nostra lingua insieme a tanti dialetti. Così oggi che è rientrato nella sua terra si diverte a salutare i turisti italiani che si aggirano tra i sacchi traboccanti di spezie e profumi, apostrofandoli con colorite espressioni gergali. «Ho lavorato anche in Francia, Germania e Spagna, ma nessuno ha un cuore grande come il popolo italiano. So che adesso dalle vostre parti l’aria si è fatta più pesante per gli stranieri, ma sono convinto che niente e nessuno potrà cancellare la bontà che abita nel cuore della vostra gente».

La rivoluzione morbida del re. Casablanca, la capitale economica del Marocco, è l’ultima tappa del viaggio di Luna. Qui tradizione e modernità sembrano convivere armoniosamente in omaggio all’impostazione di re Mohammed VI, che – non senza resistenze – sta cercando di coniugare l’osservanza dei fondamenti dell’islam con una cauta apertura al rinnovamento teologico e al riformismo politico. Per le strade passeggiano fianco a fianco donne che indossano il velo e la tunica tradizionale con altre abbigliate all’occidentale. Rompendo le consuetudini, la moschea di Hassan II – la terza più grande del mondo islamico dopo quelle della Mecca e di Medina – è stata aperta alla visita dei non musulmani. «Qui si vedono i segni della rivoluzione morbida che sta vivendo questo Paese – fa notare Luna –. È un cambiamento che in parte si deve a una contaminazione benigna con l’Occidente, anche se sono in molti a temere i frutti avvelenati di una contaminazione maligna, che sta corrodendo valori e consuetudini che si credevano immutabili. Ma qui la secolarizzazione non ha ancora raggiunto i livelli toccati dall’altra parte del Mediterraneo.

E c’è da sperare che non li raggiunga mai». Difficile stabilire se si tratta di una speranza fondata o di una pia illusione, ma Luna – e con lei tanti giovani di seconda generazione – è fermamente convinta che l’attaccamento alle tradizioni potrà reggere l’urto della modernità solo se si dimostrerà capace di affrontarne le sfide: «Se quello che ci viene consegnato dal passato non è utile per vivere il presente, rimane una forma che soffoca e non fa crescere la personalità. E sono soprattutto quelli come noi – il popolo delle nuove generazioni abituate a vivere a cavallo tra culture differenti e a farne sintesi – che vogliono verificare sulla loro pelle se la tradizione è ancora sufficiente a regalare una promessa di felicità, o se serve altro, se serve qualcosa capace di parlare all’oggi. In Marocco come in Italia».