Opinioni

Tornando dal Garda, sotto al sole e davanti all'inciviltà. Un cimitero e un vivo morto

Roberto Mussapi mercoledì 6 giugno 2018

Lago di Garda, bella giornata di sole, dopo due lieti giorni di week end partiamo la domenica alle 14 per evitare le code del rientro. La nostra partenza è così stoicamente intelligente che a quell’ora non c’è traffico. Sono tutti in spiaggia, o in giardino, o a pranzo, come noi, ieri. Posso parcheggiare davanti al bar, e bermi un caffè. Davanti, un centinaio di metri, il piccolo cimitero del paesino, tenero come tutti i cimiteri piccoli dei paesini.

Lo guardiamo sempre. Un muro bianco, pulitissimo, sottile come un osso di scricciolo. Pensi ai morti che lì riposano, e a quella sede cullante e umile. Pensi agli altri, ai tuoi, a quelli di tutti. Una moto rombante si accosta e ferma. Il pilota scende, lasciando la compagna in sella. Si leva rapidamente il casco, si accosta al muro del cimitero, un gesto della mano sulla parte anteriore degli arti posteriori e urina tranquillamente contro il muro stesso. Inequivocabile: dal piccolo e sottile cancello si vedono le tombe, le povere e bianche e marmorosate lapidi. Di fronte c’è un bar con toilette, dove sto sorbendo il caffè, comunque, accanto al cimitero, stradine che s’inoltrano in campagna, trenta metri d’intimità silvestre per l’urinante.

Ma l’uomo, senza esitazione, urina sotto gli occhi della sua compagna, degli automobilisti, pedoni e ciclisti di passaggio. Contro il muro di un piccolo cimitero. Luogo sacro, e, in quel caso, anche povero e umile. Da una parte l’acqua dolce del Garda, dall’altra le colline morbide, viti e ulivi... Urina, risale in moto, parte.

La luce netta della giornata felice fa vedere anche a me, retinopatico, la macchia della sua minzione sul muro bianco, custodente umani sepolti. Ugo Foscolo, non cristiano, scrisse un capolavoro eterno, I sepolcri, in cui, per memoria, amore, affetti, i vivi e i morti si tengono per mano , e le ragioni dei credenti e non credenti si dissolvono, fondendosi. Ora un uomo scende da una motocicletta possente e fa quello che sento un cane non farebbe. Aveva ragione Wole Soyinka, lo scrittore nigeriano, con il suo titolo L’uomo è morto? Non mi riferisco all’uomo che dorme accanto alla donna e al bambino, e a tutti, nel piccolo cimitero di campagna. Mi riferisco a quello che gli sta pisciando addosso.