Opinioni

I limiti alla libertà. Le radici serie e profonde del no all'utero in affitto

Alfredo Antoniozzi sabato 11 marzo 2023

Alfredo Antoniozzi

Gentile direttore,

nei giorni scorsi è ritornato centrale il discorso sulla bioetica in seguito a un’intervista a Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, che ha ribadito la netta contrarietà di Fdi e della maggioranza a qualsiasi, possibile apertura sul tema dell’utero in affitto. La tendenza italica alla polarizzazione di qualsiasi discorso ha purtroppo fatto sviluppare da sinistra più reazioni semplicisticamente antitetiche (del tutto legittime, ci mancherebbe) che una discussione aperta sul concetto essenziale di libertà, sull’etica e sulle ragioni che determinano un simile convincimento.

Il presidente Meloni ha parlato di strumentalizzazione del corpo femminile, richiamando a una visione di tutela della donna che ha tanti significati e che dovrebbero conoscere adesione da chiunque coltivi una dimensione autenticamente dignitosa della vita. Il tema della maternità surrogata, nella sua genesi, è innanzitutto la pretesa di trasformare un’aspirazione naturale, qual è quella della genitorialità, in un’esasperazione senza confini.

Secondo una certa sinistra, il corpo è un possesso illimitato della persona (cosa, ovviamente, giusta) dal quale possono scaturire decisioni non censurabili quali quella della concessione “in comodato dell’utero” e, quindi, della funzione di concepimento. È superfluo, nella fattispecie, finanche stabilire se questa pratica consenta a coppie omosessuali o eterosessuali la genitorialità, giacché l’aspetto principale è vicariare ciò che la natura non consente di fare. E qui è necessario aprire una parentesi per ricordare che tale pratica, in diverse parti del mondo, è addirittura regolata da accordi giuridici che prevedono a vario titolo una forte corresponsione economica in favore della “donatrice”.

A mio avviso, la differenza tra visioni cristiana, liberale e progressista risiede proprio nel vincolo posto alla concezione di libertà. Che non può essere assoluta, superando ogni dogana etica. È certamente una libertà laica e illuminata quella che pura avendo una base di fede religiosa e/o di ideali politici è tesa a garantire ogni orientamento anche sessuale personale da sopraffazioni di maggioranza. La differenza con le teocrazie sta anche in questo.

La tradizione cattolico-liberale a cui anch’io mi richiamo, del resto, accetta pienamente la via democratica della costruzione del consenso, e concepisce – come Augusto Del Noce, meglio di chiunque altro nel nostro Novecento ha argomentato – un percorso diverso da quello che – secondo una tradizione che va da dalla Rivoluzione francese a quella russa – giustifica la guida verticistica e persino violenta di un’élite “in ragione del popolo”.

Sui grandi nodi bioetici, dunque, e anche sulla questione dell’utero in affitto, la nostra impostazione è di riconoscere il limite alla libertà assoluta dell’individuo, a fronte invece di un individualismo illimitato che legittima come “sacra” qualsiasi decisione singola. È ciò che avviene, peraltro, in materia di liberalizzazione delle droghe o sul delicatissimo e complesso tema del fine vita. Per concludere, direttore, anch’io sono cresciuto nella consapevolezza, molto cattolica, del nostro libero arbitrio che ho appreso essere concessione totale di libertà, ma in una dimensione di redenzione. Siamo così liberi, come anche lei ha scritto in diverse occasioni, che possiamo persino dire di no a Dio, eppure dobbiamo rispettare pienamente la libertà altrui e a comprendere e fare nostra la regola della natura. Lo scrive san Tommaso d’Aquino, ma lo ribadisce pure Voltaire. È proprio in questa ottica per noi non sarà possibile negoziare sul rispetto di ciò che non può essere in nessun modo ridotto a “cosa”.

Vicecapogruppo di Fratelli d’Italia Camera dei deputati