Opinioni

Punto prospettico sul mondo. Giornale di cui essere umilmente fieri

Dino Boffo giovedì 4 dicembre 2008
Beato chi ha dei padri fondatori e li sa ascoltare, anche a molti anni di distanza. Oggi, nel giorno del nostro quarantesimo compleanno, vorremmo riuscire a volgerci indietro senza l’atteggiamento saccente di chi pensa di non aver nulla da imparare ma tutto da insegnare. Di chi è tanto preso nella contemplazione delle proprie fronde, da dimenticarsi delle radici. Ci volgiamo indietro, invece, con la convinzione di aver molto da apprendere da chi ci ricorda come essere noi stessi, come non perderci, come continuare a crescere.Oggi, sfogliando le nostre «carte di fondazione», ci imbattiamo tra i protagonisti del tempo nell’arguto arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Colombo, secondo il quale il nuovo giornale avrebbe dovuto «offrire il punto prospettico cattolico dal quale vedere, illuminare e giudicare tutti gli avvenimenti, da quelli politici a quelli sociali, da quelli di cronaca a quelli di cultura». Inesorabile la sua conclusione: se questa decisiva caratterizzazione fosse mancata non ci sarebbe stata speranza. Sarebbe spuntato un Avvenire senza... avvenire.Esattamente così vuol essere il nostro giornale oggi: un punto di prospettiva cattolico su tutti gli avvenimenti, nessuno escluso. Per questo è un laboratorio prezioso nella comunità cristiana. Per questo è una impareggiabile pista di allenamento per quanti vogliono stare nel mondo con gli occhi aperti, imparando a vedere anche ciò che altri non vedono.Ovvio che nulla sia scontato. Per alcuni, ad esempio, non è scontato che una prospettiva cattolica esista, ossia che il Vangelo e l’insegnamento della Chiesa forniscano una chiave di lettura intelligente, originale e illuminante delle vicende degli uomini... Nessuna formula da applicare ottusamente. Nessuna tentazione ideologica. Ma una prospettiva sì, esiste eccome, a cominciare dalla gerarchia delle notizie. A nessuno, neppure a chi è ancora prevenuto nei nostri confronti, può sfuggire che ogni nostra scelta è ragionata e risponde a precise gerarchie di importanza; ad esempio, una guerra africana "dimenticata" per molti non lo è per noi, e per noi vale più un’iniziativa della società civile che certo esangue chiacchiericcio politico. E a nessuno sfugge che i temi lanciati non vengono subito abbandonati, in preda a un consumismo mediatico che sta estenuando la concentrazione di tutti. A nessuno sfugge che noi – in sempre più striminzita compagnia – il gossip lo lasciamo volentieri a chi di competenza: la Transnistria vale più dell’ultimo amorazzo (di chicchessia). E a nessuno sfugge che tutto ci sta a cuore, e possiamo affermare certe nostre posizioni con convinzione, con forza, accettando il "gioco" della polemica anche aspra, ma nel rispetto delle persone e delle idee, per quanto a noi lontane. Per meglio ricordarlo a noi, e ai nostri lettori, lo abbiamo messo per iscritto a pagina 2, come nostro motto: «Per amare quelli che non credono». L’amore è ben più impegnativo della semplice tolleranza. L’amore può sfociare anche nel conflitto... Ma l’amore comporta soprattutto un legame forte, un destino comune.Se così non facessimo, Avvenire si ridurrebbe a un giornale qualsiasi, non si giustificherebbe più e perderebbe la sua radicale necessità di esserci, nel concerto dei media. Se ci banalizzassimo, incolori inodori insapori, firmeremmo la nostra inutilità. Saremmo superflui.Non essendo tuttavia perfetti, nei nostri primi 40 anni abbiamo vissuto momenti di maggiore o minore fedeltà a questo principio, senza però mai abbandonarlo. Specialmente da quando la mutata situazione socio-politica italiana ha imposto al giornale una diversa collocazione: strumento che non fiancheggiasse più, anche se criticamente, l’esperienza dell’unità politica dei cattolici, ma si proponesse come apripista dell’unità culturale dei cattolici nella società italiana. Vogliamo continuare così. Un giornale confezionato a regola d’arte, di alta qualità, di cui i lettori possano essere orgogliosi. Un giornale che nulla abbia da invidiare agli altri giornali, anche quelli sostenuti da imprese editoriali ben più potenti. Un giornale ben scritto e ben disegnato, perché ben pensato. Un giornale unico ed originale. Un giornale di cui i "padri fondatori" possano essere fieri.