Opinioni

La vera divisione nella società. Capire i risultati, riunire gli italiani

Gianni Bottalico giovedì 22 marzo 2018

Caro direttore,

quanti hanno sempre sostenuto, da quando è iniziata la crisi nel 2008, che gli effetti di quest’ultima non si sarebbero limitati all’economia, ma avrebbero intaccato la struttura sociale del Paese, non possono esser stati sorpresi dall’esito del voto del 4 marzo scorso. Una ex società opulenta, composta non più da due terzi di garantiti, e un terzo di esclusi, bensì al contrario da un terzo scarso di privilegiati e da due terzi di ceto medio e popolare in via di impoverimento, ha votato prevalentemente secondo il proprio 'interesse di classe'.

L’alta e media borghesia, i quartieri alti dell’apparato statale, quel quarto della nostra economia che cresce sulle esportazioni hanno in larga parte concentrato il loro voto su quell’arco di forze che va da Forza Italia a Liberi e uguali, passando per il Partito democratico e i suoi alleati minori. Specularmente, i ceti lavoratori e popolari, quel 75% della nostra economia che vive solo se c’è un buon andamento della domanda interna, hanno optato in prevalenza per il Movimento 5 stelle e per la Lega e altri partiti minori. E i rapporti di forza tra queste due diverse opzioni, specchio di due diverse Italie, sono, per l’appunto, all’incirca di un terzo a due terzi dell’elettorato.

Siamo in presenza di una netta spaccatura del Paese, non solo e non tanto tra Nord e Sud, ma tra popolo e establishment. Due mondi che vedono film diversi: l’uno il progressivo impoverimento, la perdita di ruolo e di peso nella società, il furto di futuro, l’abbandono quando non le vessazioni da parte dello stato; l’altro mondo, euforico e talvolta incredulo di una congiuntura così positiva, vede opportunità e guadagni oltre le aspettative, generati da politiche economiche e monetarie calibrate non sul bene comune della società e dell’Europa intera, bensì sugli interessi dei più ricchi.

Di fronte a una situazione così delicata diventa prioritario riunire il Paese, cominciando a porre un freno all’aumento delle disuguaglianze. Va perciò evitato un approccio manicheo, quasi un nuovo maccartismo che serpeggia anche nel variegato mondo cattolico, peraltro mai così poco rappresentato nel nuovo Parlamento. Siamo nel quarantennale del sacrificio di Aldo Moro. Egli era tutt’altro che un dogmatico e per questo la sua eredità è più attuale che mai: ci insegna che di fronte ai grandi cambiamenti sociali non si devono erigere muri, ma si deve comprendere, studiare, analizzare e dialogare. E la politica deve mettersi al servizio della costruzione di una prospettiva, di un traguardo per il Paese in cui tutti possano davvero riconoscersi.