Mondo

Senza libertà religiosa 5 miliardi di persone. La tragica fantasia dei persecutori

Giulio Albanese giovedì 25 novembre 2010
La religione fa problema su scala planetaria. È quanto si evince da una lettura del Rapporto sullo stato della libertà religiosa nel mondo 2010, presentato ieri a Roma. Secondo la ricerca di "Aiuto alla Chiesa che Soffre" (Acs), sono circa cinque miliardi (il 70% dei quasi 7 miliardi di abitanti del pianeta) le persone a cui la libertà religiosa è negata, interdetta o repressa. Alle gravi restrizioni da parte di alcuni governi, non di rado si accompagnano conflitti tra le varie religioni o rappresaglie tra i seguaci della stessa componente religiosa. Tra i Paesi con maggiori restrizioni, un peso schiacciante lo hanno le due potenze emergenti – Cina e India – ciascuna con una popolazione che va ben oltre la soglia del miliardo di abitanti. Per non parlare di numerosi Paesi a maggioranza islamica in cui le minoranze religiose sono costantemente emarginate rispetto alla vita pubblica, se non addirittura perseguitate. È dunque lunga la lista dei cosiddetti Paesi "illiberali" che, in un modo o nell’altro, condizionano, se non addirittura soffocano, il sentimento religioso. E a pagare il prezzo più alto in vite umane sono le comunità cristiane. A riconoscerlo è anche Amnesty International, secondo la quale da almeno due decenni il cristianesimo è la religione più perseguitata del mondo.Vi sono comunque tanti modi per manipolare o sopprimere la libertà religiosa. Basti pensare a quei vescovi cinesi, sottoposti recentemente a pressioni e a restrizioni della propria libertà di movimento, allo scopo di forzarli a partecipare e a conferire l’ordinazione episcopale a un candidato scelto dalle autorità di Pechino. Come giustamente ha stigmatizzato la Santa Sede, si tratta di una «grave violazione della disciplina cattolica (…) a scapito dell’atmosfera di rispetto faticosamente creata» tra la Chiesa cattolica e il Governo cinese.Ma il fenomeno è trasversale se si considerano le aperte persecuzioni perpetrate in questi anni dal regime di Pechino nei confronti dei monaci tibetani, dimenticando che la religione è sempre e comunque la quintessenza della coscienza. Basta dare un’occhiata al nostro Catechismo che, citando il Concilio Vaticano II, rileva come la coscienza sia «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (§ 1776). Su questa cruciale frontiera, è chiaro che, guardando al futuro, sarà determinante il ruolo del cattolicesimo, proprio per la sua natura universale. Come ha scritto Benedetto XVI, in una missiva al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, il 9 novembre scorso: «I credenti di ogni religione hanno una responsabilità particolare e possono giocare un ruolo decisivo, cooperando ad iniziative comuni. Il dialogo interreligioso e interculturale rappresenta una via fondamentale per la pace». Sarebbe pertanto fuorviante dare adito ai fautori dello "scontro delle civiltà" che vorrebbero strumentalizzare le religioni per fini politici o eversivi. Non foss’altro perché «ogni autentica religione – come ha sottolineato padre Joaqín Alliende, presidente internazionale dell’Acs – implica una permanente volontà di conversione e miglioramento». E la testimonianza di tanti nostri missionari e missionarie che operano nel contesto delle Giovani Chiese, in situazioni spesso di aperta persecuzione, è motivo di edificazione per le comunità d’antica tradizione. Questi "Uomini di Dio", per usare il titolo di una pellicola nelle sale in questi giorni, ci rammentano che la loro militanza evangelica è davvero l’affermazione della beatitudine più sconvolgente di cui parla il Cristo nel celebre discorso della Montagna. Perché «di essi è il Regno dei cieli» (Matteo 5,10).