Attualità

Migranti, vite nel limbo. Il futuro di Mamadou resta senza certezze

Stefano Pasta venerdì 23 agosto 2019

Mamadou, 28 anni, si è laureato in Sociologia in Guinea, dove era giornalista alla redazione politica della radio Planète FM, all’opposizione del presidente Condé. Per questo ha avuto problemi con il governo, è dovuto scappare e attraversare il Mediterraneo.

Accolto ad Agrate Brianza dal 2016, in un centro della Croce Rossa, si è subito rimesso a studiare (l’italiano, poi la licenza media). Si è offerto come volontario proprio alla Croce Rossa: «Con la stessa organizzazione – dice – in Guinea assistevo alle partite di calcio, pronti a intervenire se qualcuno non fosse stato bene». Intanto si trasferisce in un centro a Giussano, altro comune della Brianza («Qui invece vado a trovare gli anziani in un istituto come volontario») e continua la formazione: la Fondazione Verga, nata nel 1978 per aiutare i meridionali emigrati a Milano, decide di puntare su di lui, pagandogli un corso come mediatore interculturale presso l’ente formativo Boston Group. Ci avevano visto giusto: la stessa Boston Group gli ha offerto un’ulteriore borsa di studio triennale per l’Alta Scuola di Counseling ed Educazione Interculturale per Adulti.

Non è detto riuscirà a terminarla: la sua situazione legale è appesa a un filo, la domanda di asilo è stata rifiutata e attende solo il verdetto della Cassazione. Se fosse negativo, finirebbe per poter lavorare solo in nero. Da un anno ha già più di un impiego: «Come operaio in una ditta che vernicia motorini – racconta – e poi, a chiamata, faccio il mediatore in ospedali, scuole o alla questura». Nel frattempo ha fatto domanda alla Bicocca di Milano per riprendere gli studi universitari: avrebbe i requisiti, ma ne manca uno legato ai documenti. Quindi niente da fare. «Il caso di Mamadou – commenta Tania De Franchi – è emblematico di tanti ragazzi che sperimentano l’integrazione, ma a cui si risponde buttando via tutto». La normativa voluta dai 5 Stelle e dalla Lega ha cancellato il permesso umanitario: «Dal Decreto Sicurezza in poi – dice De Franchi – non si tiene più conto del percorso sociale del profugo. Per questo alcuni migranti rinunciano a investire nell’imparare la lingua e nella formazione, visto che poi viene tutto annullato». La legge ha tagliato i fondi per l’insegnamento della lingua: diversi operatori italiani stanno perdendo lavoro (50mila a rischio in Italia secondo la Cgil): «Su 7 dipendenti di Fondazione Verga coinvolti in questi corsi, uno non è stato rinnovato e in 6 abbiamo adesso un orario ridotto», conclude.