L’Opera di Roma celebra i 150 anni di “Carmen” con le scene-quadro di Guttuso
Dopo mezzo secolo torna in scene l'allestimento firmato dall'artista siciliano con i suoi costumi da "Canzonissima". Promosso il cast. Direzione che lascia perplessi

Quadri per l’opera. O meglio, l’opera in un quadro. Quattro, in realtà, i “dipinti” dentro cui entra Carmen. È in cartellone fino al 28 giugno al Teatro dell’Opera di Roma l’allestimento del capolavoro di Georges Bizet con le scene e i costumi Renato Guttuso. Scelta lungimirante, quella del teatro guidato dal sovrintendente Francesco Giambrone, per celebrare i 150 anni del titolo riproponendo la storica produzione che aveva debuttato nel 1970 e che era stata ripresa solo una volta e a stretto giro di posta. «La Carmen in minigonna» era stata ribattezzata dalla stampa oltre mezzo secolo fa. E aveva creato scandalo. Per i costumi, anzitutto: abiti succinti ma anche dai colori sgargianti in perfetto stile anni Settanta che sembravano usciti dagli studi tv di “Canzonissima”. Rivederli adesso danno l’idea di costumi scacciapensieri, che certo non alimentano imbarazzo o disturbano, ma fanno quasi sorridere pensando a quando accaduto alla prima. Degli oltre 350 costumi disegnati da Guttuso e indossati nella serata d’esordio, ne sono stati ritrovati e catalogati 310.
Ben più interessante trovarsi sul palcoscenico le scene dell’artista siciliano. Quadri dai colori e dal calore mediterraneo: dal primo atto fra i vicoli, gli scorci e le piazze affacciate sul mare all’ultimo dove viene mostrata l’arena della corrida, passando per l’osteria del secondo atto che diventa una sorta di grotta. Tutto disegnato o poco più, quindi con una staticità intrinseca che non è riuscita a scalfire la nuova regia di Fabio Ceresa, al suo debutto al Costanzi: didascalica e compressa negli spazi lasciati dal maestro del movimento realista. Da apprezzate le luci firmate da Giuseppe Di Iorio che esaltano le creazioni di Guttuso. Erano mille i disegni da lui realizzati, di cui più di cinquecento distrutti prima di concretizzare le scene: «Avevo nitida l’idea di come dovessero essere cielo, case, balconi, arena, mare, – confessava il pittore – ma mi sfuggiva spesso che non potevo prescindere dalla loro attuazione scenica». Dell’allestimento originale sono sopravvissute solo le tele dipinte. Per la ricostruzione delle quinte armate, il teatro si è basato sulle foto di scena dell’epoca. Realizzati ex novo trenta pareti e ottanta elementi costruiti, un nuovo fondale e un nuovo soffitto per il terzo atto.
Cast che convince. A partire da Gaëlle Arquez, impegnata nel ruolo del titolo e per la prima volta sul palco della Fondazione capitolina. È una Carmen non solo sensuale, ma anche energica e tormentata, che coinvolge. Phisique du role e applausi per Erwin Schrott nella parte di Escamillo: con il suo consueto timbro intenso e accattivante. Mariangela Sicilia, che torna dopo il successo di Alcina in marzo, è una Micaëla che racconta la dolcezza e la determinazione del personaggio. Da apprezzare Joshua Guerrero, un Don José corretto. Invece lascia perplessi la direzione di Omer Meir Wellber, prossimo direttore musicale della Staatsoper Hamburg: discontinua, a tratti persino bandistica, lascia sullo sfondo le finezze della partitura privilegiando un approccio che intende strizzare l’occhio e conquistare l’orecchio (facile) del pubblico. Infatti ci riesce: applausi per lui.
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