Latini porta in scena il mistero degli angeli secondo Pasolini

Applaudita al Teatro Olimpico di Vicenza la prima di “Ànghelos” di Roberto Latini ispirato a “Il Vangelo secondo Matteo”. «Fra un anno lo porteremo in scena integralmente»
September 29, 2025
Scena teatrale in notturna: tre interpreti su un prato, incorniciati da due grandi colonne. Due indossano lunghi camici bianchi; due portano maschere dorate con piume
Una scena dello spettacolo di Roberto Latini “Ànghelos” che ha debuttato al Teatro Olimpico di Vicenza
«Quem quaeritis? Chi cercate?». La domanda che un angelo pone alle pie donne fuori dal sepolcro vuoto torna a risuonare sulla scena, rivolta oggi a ciascuno di noi. Con giacca e pantaloni bianchi, una maschera dorata alata sul volto, lo sguardo diretto al pubblico, l’angelo di Roberto Latini sorprende, affascina e interroga. È il cuore di Ànghelos. Verso il Vangelo secondo Matteo trascritto da Pier Paolo Pasolini, spettacolo di cui Latini è autore, regista e intenso interprete, insieme agli eccezionali Elena Bucci, Luca Micheletti e Marcello Sambati. Applaudito al debutto in prima assoluta al Teatro Olimpico di Vicenza per il 78° Ciclo di Spettacoli Classici – in scena fino al 22 ottobre – lo spettacolo sarà riproposto in primavera al Teatro della Pergola di Firenze, prodotto dal Teatro della Toscana. I direttori artistici Ermanna Montanari e Marco Martinelli hanno voluto dare un segnale forte puntando i riflettori sullo spirito come condizione necessaria in questi tempi oscuri. Quindi, dopo l’apertura con i canti polifonici del Mediterraneo di Veni, a goodbye della giovanissima formazione Alot, ecco addentarsi nel mistero con il raffinato Ànghelos di Latini.
Il regista e autore spiega ad Avvenire: «Questo è solo il primo passo di un progetto più grande, che porterà fra circa un anno alla messinscena integrale del Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Anghelos è un lavoro a parte, quasi uno spin-off, che prende le mosse dalla sceneggiatura del film e lo rielabora in una scrittura scenica». Lo spettacolo si articola in quattro “apparizioni”, 80 minuti di teatro che fondono le parole di Pasolini con echi letterari di Milton, Rilke, Euripide e Wenders. « Ho scelto di concentrarmi su un particolare del film: le apparizioni degli angeli. Ognuna diventa autonoma, si sviluppa in scena con il proprio linguaggio, pur mantenendo un legame con la sceneggiatura », racconta Latini. Nello spettacolo colpiscono le parole della sceneggiatura di Pasolini, capolavoro di sintesi e profondità: dettagliata nelle inquadrature a cogliere l’essenza e lo spirito di personaggi umani in cui si riflette il divino: il dolore della giovinetta Maria, il volto fiero di Giuseppe, l’affascinante e pericoloso demonio tentatore nel deserto, l’autorevole e spendente angelo del Sepolcro. La sfida del regista, non semplice ma estremamente interessante, è quella di trovare una rete di connessioni di senso tra l’antico e il contemporaneo. Al centro, la vita e la morte, la speranza forse? Nella prima apparizione, Elena Bucci dà voce all’angelo dell’Annunciazione che solleva Giuseppe da ogni dubbio su Maria, accompagnata dal lamento straziante di Ecuba che ha visto uccidere tutti i suoi figli e il nipote Astianatte, tratto dalle Troiane di Euripide. « A un certo punto Euripide dice: “Perché l’assassinio di un bambino, per paura?”. È una frase che risuona fortissima oggi e che ci ha ammesso, come spettatori, dentro un dolore universale», osserva il regista. La seconda apparizione, affidata a Marcello Sambati, riguarda Giuseppe: l’invito a fuggire in Egitto per salvare il bambino da Erode e poi, più tardi, il ritorno non in Giudea ma in Galilea a Nazaret affinché si compia la profezia. Qui le parole di Pasolini si intrecciano con i versi di Rainer Maria Rilke, che Sambati incarna con il suo corpo poetico. « Mi piace pensare non a angeli diversi, ma a momenti diversi dello stesso angelo, nella sua capacità di mutare forma e linguaggio », spiega Latini. La terza apparizione porta in scena il demonio, irresistibile ma disperato per la sua caduta. Luca Micheletti, poliedrico attore, regista e baritono, lo interpreta con eleganza ironica e beffarda, evocando versi dal Paradiso Perduto di Milton e dall’Adamo dell’autore cin-quecentesco Giovan Battista Andreini. « Il demonio è un angelo, anche lui. Pericolosissimo proprio perché seducente. Micheletti ne restituisce il fascino guascone, il rischio dell’incanto», dice il regista. Infine, la quarta apparizione è affidata allo stesso Latini, profondo e asciutto, che compare come l’angelo al Sepolcro, ali che si dibattono in un tentativo di spiccare il volo sul rullo potente della batteria: «“Chi cercate?” – quella domanda è rimbalzata in me come eco di un bisogno disperato di senso. L’ho sentita vibrare nelle parole di Pasolini, nel suo amore per la madre Susanna, e anche nel Cielo sopra Berlino di Wim Wenders, dove gli angeli ascoltano il dolore degli uomini». A cucire le apparizioni è il tema dello sguardo. Come nel film di Pasolini, i “primissimi piani” diventano protagonisti. « Pasolini ha riempito il film di volti, soprattutto di bambini. Per me il pensiero dei bambini è rimasto fortissimo» aggiunge.
Lo spettacolo si apre e si chiude con l’eco della parola “bambini, bambini”: il Bambino della Natività diventa immagine di tutti i bambini del mondo.» E’ inevitabilmente, oggi, il pensiero corre a Gaza, alla sofferenza innocente». Le luci che fissano i gesti come fotografie e le musiche contemporanee di Gianluca Misiti amplificano il fascino evocativo della scena, che trova la sua forza nelle parole e nella Parola. « Non ho voluto ricamare intorno al Vangelo. Era già tutto lì. Ho cercato, come Pasolini, di guardare da vicino, di mettermi davanti ai volti, agli occhi, ai dettagli per scoprire l’umanità». Cosa spinge Latini a confrontarsi oggi con il Vangelo secondo Matteo e con Pasolini? « Pasolini non era una persona religiosa, ma sicuramente spirituale. In quel film ha dimostrato che lo spirito passa anche attraverso le immagini e i corpi. Credo che questo sia lo stesso compito del teatro: far incontrare le persone spiritualmente, oltre che fisicamente. L’attore che entra in scena è sempre un messaggero: porta la sua parola da un altrove misterioso, come gli angeli». E se gli chiediamo cosa significhi per lui questo mistero, risponde: «Spero ogni volta di esservi ammesso, quando inizia lo spettacolo. In tempi così pesanti, abbiamo bisogno estremo di guardare in alto, più in alto che possiamo».

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