sabato 21 maggio 2022
L’autrice Usa: «Sono cresciuta con la mia storia già raccontata per me. Scrivere mi ha permesso di afferrare quella storia e raccontarne una nuova, più vera»
La scrittrice statunitense Rebekah Taussig

La scrittrice statunitense Rebekah Taussig - © Rebekah Taussig

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La scrittura come mezzo per uscire dalla narrazione degli altri sulla propria condizione di donna in sedia a rotelle. Per superare quella condizione di persona osservata per vedere se ce la fa a mettere le buste della spesa in macchina da una persona che si è offerta di aiutarla e, ricevuto un cortese rifiuto, resta lì a verificare. Come racconta Rebekah Taussig in Felicemente seduta. Il punto di vista di un corpo disabile e resiliente. Il libro, che esce per le edizioni leplurali (casa editrice femminista nata nel 2021; pagine 270, euro 18,00) è stato presentato ieri a Torino.

Nel libro parla dell’abilismo. Come far sviluppare la sensibilità per superarlo?

Un buon punto di partenza è ascoltare di più, leggere di più, sintonizzarsi con le prospettive e le voci delle persone con disabilità. Per la maggior parte della storia, le persone senza disabilità hanno parlato per e al di sopra di queste voci, quindi è necessario fare uno sforzo per cambiare marcia. C’è molto da ascoltare, perché la disabilità è una delle esperienze più estese nell’umanità. Fortunatamente, ci sono sempre più racconti di disabilità in prima persona: biografie e memoir, programmi televisivi, canali YouTube e profili TikTok. Credo che le storie ci cambino: accedono a una parte speciale del nostro cervello e cambiano il modo in cui vediamo le persone e il mondo.

Pensa che si possa superare l’idea del corpo perfetto, efficiente?

Assistiamo già a un allontanamento da questa idea. Negli ultimi anni, abbiamo visto le pubblicità fare progressi nel rappresentare una gamma più ampia e varia: corpi che utilizzano ausili per la mobilità e borse per ileostomia, corpi con cicatrici e peli, smagliature e cellulite, di tutte le forme e le dimensioni. Alcune aziende di abbigliamento includono una gamma più ampia di taglie. Certo, non lo fanno per essere altruisti o gentili: si stanno rendendo conto che gli ideali che ci sono stati offerti non riflettono chi siamo realmente, e perciò stanno diventando meno attraenti. Ma questo cambiamento degli standard di bellezza è stupendo. Non so come, quanto velocemente, o nemmeno se possiamo allontanarci dall’idea di un corpo perfettamente “capace” rispetto a uno imper-fetto, “disabile”. Ma vedo dei segni.

Lei propone l’essere «adattabili, flessibili e immaginativi » come contributo delle persone disabili a tutti. Come fare?

Le persone disabili vivono in un mondo che non è stato costruito pensando a loro: case, parchi giochi, ristoranti, vestiti, aspettative sul posto di lavoro o in classe, romanticismo e genitorialità. Eppure continuano a vivere, lavorare, amare. Dobbiamo trovare alternative per navigare nel mondo, per interagire con persone estranee, con chi ci ama e i nostri figli, per giocare e lavorare, per vestirci e fare la doccia, per lavarci i denti e cucinare. Le persone disabili sono costrette a fare affidamento sugli strumenti di adattabilità, flessibilità e immaginazione minuto per minuto. Sono capacità di risoluzione dei problemi preziose nel mondo di oggi, che evolve rapidamente.

Lei racconta della famiglia di origine e di come ne ha formata una sua. Quanto conta questa dimensione?

La famiglia è così complicata, vero? Quando stavo crescendo, la mia era una sorta di bolla sacra in cui non ero inghiottita completamente dalla mia disabilità, ma potevo esistere semplicemente come me stessa. Poi ha continuato a essere una rete di sicurezza inestimabile per sostenermi quando non riuscivo a trovare un alloggio o avevo bisogno di aiuto per costruire una rampa o per spostarmi. In età adulta ho cercato e trovato un senso di comunità tra disabili online e mi sono connessa a una sorta di “famiglia” che poteva darmi un diverso ti- po di supporto e comprensione. Ora che sto costruendo una mia famiglia, spero che sia un posto sicuro e felice in cui mio figlio possa crescere bene. Ma so anche che non possiamo, non dovremmo essere e non saremo l’inizio e la fine per lui.

Il libro è anche un modo per incoraggiare chi è sfiduciato a prendere più consapevolezza?

Molte persone con disabilità hanno passato la maggior parte della vita senza leggere un racconto che riflettesse la loro esperienza. Spero che grazie alla mia storia ci siano altre persone che si sentano viste. Che finiscano il mio libro e sappiano che non sono sole. Lo prendano come una rivendicazione ribelle e corroborante, che li aiuti ad afferrare la loro narrazione e a raccontare le loro storie con le loro voci uniche.

Scrivere le ha cambiato la vita?

Assolutamente sì. Sono cresciuta con la mia storia già raccontata per me. Non avevo la mia voce, ho semplicemente ripetuto a pappagallo la storia che mi era stata raccontata. Scrivere mi ha permesso di afferrare quella storia, di smontarla, capovolgerla, esaminarla con più attenzione e raccontarne una nuova, più vera. La scrittura mi collega a me stessa, è ciò che mi lega alla terra e alle altre persone. È il modo in cui penso: mi sembra quasi di non esistere completamente senza di essa.

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